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Trump dice addio all'accordo sul clima Ma il matto non è lui

Cina e India soffocano di smog Il vero problema sono loro

Trump dice addio all'accordo sul clima Ma il matto non è lui

«F olle, proprio folle!». La nota presentatrice radiofonica, devota alla narrativa di Greta, Capitan Carola e del «politicamente corretto» vomita nei microfoni il proprio sdegno per un Trump così «matto» da abbandonare gli accordi di Parigi sul clima. Mentre lei blatera, rivedo le tetre foto di Nuova Delhi chiusa per smog. Mi torna alla memoria il sole prigioniero dello smog di Pechino e Shangai. Mi sale nelle narici l'odore acre dei gas di scarico di Karachi, Beirut e Baghdad. Controllo la classifica realizzata da Ue e «Agenzia olandese dell'ambiente» sul contributo dei singoli paesi alle emissioni di Co2. La Cina è saldamente al primo posto con il 29,34 per cento delle emissioni mondiali. Gli Usa superano il 13,77 per cento, ma l'India contribuisce per il 6,62. In Europa solo la Germania è oltre il 2,1%, l'Inghilterra è all'1,02%, Italia e Francia sono allo 0,97% e allo 0,91%.

Dati alla mano, la vera assurdità sembra quella europea di non rifiutare gli accordi di Parigi. Anche perché sarà ben vero che gli Usa con il loro 13,77 emettono più del doppio del Co2 prodotto dall'India e 4 punti in più dei 28 paesi Ue, ma è anche vero che in base alle regole imposteci dall'Onu, Paesi come Cina e India non sono tenuti a controllare le proprie emissioni. Avete letto bene. E la favola secondo cui le intese di Parigi sono l'unico modo per costringerli a farlo è un'altra frottola. A testimoniarlo basterebbero le immagini di Nuova Delhi e Pechino. La prova più evidente sono, però, quei Colloqui di Bonn convocati nel 2018 per avviare le intese di Parigi, ma chiusi con un nulla di fatto davanti alla pretesa di Cina e India in testa, di estorcere 100 miliardi di dollari in contributi a Europa, Canada e Stati Uniti per finanziare l'introduzione di tecnologie pulite a casa loro. Sembra la realizzazione della teoria marxista del togliere «a ognuno secondo le sue capacità» per darlo «a ognuno secondo i suoi bisogni». A rendere il tutto ancor più perverso s'aggiunge la pretesa di Pechino di non applicare restrizioni alle proprie industrie fino al 2030. Insomma, non paghi d'impegnarci ad accrescere i costi della nostra produzione industriale a colpi di «carbon tax» e balzelli ecologici, dovremmo anche regalare centinaia di miliardi a Paesi decisi, come la Cina, a metterseli in tasca senza introdurre limitazioni alle proprie emissioni per il prossimo decennio. Il risultato del suicidio collettivo firmato a Parigi è insomma evidente.

Mentre noi europei uccidiamo le nostre aziende inseguendo l'utopia di un impatto climatico zero entro il 2050, Cina, India e altre pretese economie «emergenti» possono continuare non solo ad asfissiarci, ma anche ad affossare le nostre economie grazie a prodotti che non risentono dei costi della «carbon tax». E il «matto» sarebbe Trump

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