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Tutte le falle di Rousseau: "Non è democrazia diretta"

Nessun controllo, flop tecnici, costi opachi. L'esperto Bruno Kaufmann: "Modo per coprire scelte di potere"

Tutte le falle di Rousseau: "Non è democrazia diretta"

«Con 90mila euro? Organizzerei almeno cinque voti al mese. Anche di più se sono tutti per uno stesso committente». Un operatore del settore, che chiede di restare anonimo, sobbalza quando sente l'accusa della senatrice Elena Fattori agli animatori della piattaforma Rousseau: «L'associazione usufruisce di 90mila euro di soldi pubblici versati dai parlamentari dal mese di marzo. Almeno dovrebbe funzionare come un orologio svizzero». Invece no.

Anche il voto on line di lunedì sul destino di Matteo Salvini, nonostante fosse una prova decisiva per l'attendibilità del sistema e per la sopravvivenza del governo, è stato un calvario di malfunzionamenti. Il «cacciatore di bufale» David Puente, che ha raccontato sul sito Open l'andamento della giornata, ha messo insieme un rosario di lamentele dei votanti. Lui stesso, ex dipendente della Casaleggio associati, anima del sistema Rousseau, è riuscito a fatica a collegarsi al sistema e, una volta votato, ha dovuto aspettare sedici minuti per avere la conferma che era andato a buon fine.

«Il sistema migliora di anno in anno», annotava ieri ottimisticamente il ministro per la Democrazia diretta Riccardo Fraccaro. In realtà, nonostante le grandi risorse economiche, una società specializzata alle spalle e il rodaggio con diversi voti precedenti, Rousseau ha perso colpi per tutto la durata del voto. Le difficoltà di accesso perché evidentemente non sono stati utilizzati un numero sufficiente di macchine «server» per gestire l'afflusso in contemporanea di tante persone (pur annunciato) hanno costretto gli organizzatori a correre ai ripari. Non solo spostando per due volte l'orario di chiusura del voto (prima dalle 18 alle 19, poi dalle 19 alle 21,30). Inoltre, come ha rivelato Puente, il sistema prevedeva, oltre alla password di accesso in possesso degli utenti registrati, un'ulteriore chiave di sicurezza inviata sul cellulare dal sistema. Nel corso della giornata, a quanto riferisce chi ha votato, è stata eliminata per non allungare ulteriormente i tempi. A sottolineare la mancanza di controlli del voto è Marco Canestrari, anche lui ex Casaleggio Associati, che denuncia «gravi carenze»: «Il codice della piattaforma lo conosce solo la Casaleggio, questo impedisce, ovviamente, qualsiasi verifica sul buon funzionamento del sistema di voto e di conseguenza ogni verifica sulla correttezza del risultato». Stavolta non si può nemmeno dare la colpa agli hacker che in passato avevano sottratto dati alla piattaforma, provocando due interventi del Garante della privacy. E se, per ora, non si segnalano vulnerabilità dei dati degli utenti (che l'operatore del settore sentito dal Giornale definisce «inaccettabili per un'organizzazione seria»), restano problemi di trasparenza e correttezza.

Bruno Kaufmann, co-presidente del «Forum globale per la moderna democrazia diretta» che si è riunito proprio a Roma ospite del Campidoglio a 5 Stelle, consegna al Giornale una netta stroncatura del sistema Rousseau: «Questa non è più democrazia diretta, ma una forma di plebiscitarismo», dice il politologo svedese riferendosi alla tipologia di quesito sottoposto al popolo grillino: «Non è solo una questione di tecnologia utilizzata, ma anche di processi: in tutti i casi questi voti richiedono tempi lunghi altrimenti, come sembra essere avvenuto in questo caso, è solo un tentativo calato dall'alto del vertice di un partito di guadagnare una legittimazione extra attraverso una cosiddetta democrazia diretta».

Kaufmann è molto critico anche sui tempi del voto e boccia l'idea di sottoporre il quesito alla platea con sole 24 ore di anticipo sul voto: «Questa fretta non ha niente a che fare con la democrazia diretta, è solo la legittimazione di uno sconto di potere». Kaufmann respinge senza appello anche la formulazione del quesito a risposte invertite, con il«sì» per non autorizzare il processo a Salvini e un «no» per autorizzarlo. «Questo -incalza- è un altro tipico modo di spostare la questione per ottenere l'esito voluto, un metodo spesso usato da leader politici dalla limitata mentalità democratica in tutto il mondo». E pensare che Virginia Raggi, presentando l'evento ospitato a settembre che annoverava Kaufmann come ospite principale, aveva parlato di «Roma capitale della democrazia diretta». L'esperto dà una chance solo alle norme sulla democrazia diretta che sono in discussione in Parlamento, tra cui il referendum propositivo.

Ma quelle non saranno gestite da Rousseau. O no?

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