Mondo

Tutte le (poche) strade che possono portare Trump alla Casa Bianca

Meno arrogante e approssimato: soltanto così Donald potrà recuperare il terreno perso in questa settimana

Tutte le (poche) strade che possono portare Trump alla Casa Bianca

Non era mai successo che un'elezione presidenziale americana si trasformasse in un referendum su un solo candidato. Eppure è questa la situazione a un mese dal voto di novembre: nessuno discute la candidata Clinton, che è quel che è, pregi e difetti. Si discute invece se sia mai possibile, semplicemente possibile, che Trump possa farcela. Le guasconate, le offese, gli atteggiamenti teatrali, le scuse generiche, le esagerazioni hanno prodotto una tale marea di onde e risacche sul suo nome e la sua figura, che oggi l'America che pensa e che conta, di destra e di sinistra, si chiede semplicemente se sia possibile che un uomo come Trump possa entrare alla Casa Bianca. E i risultati dicono che è possibile. Non probabile, ma ancora possibile. Il fatto nuovo che ha rimescolato sia le carte che l'attenzione degli americani è costituito dal dibattito fra i due candidati vicepresidenti, Tim Kaine per i democratici e Mike Pence per i repubblicani. Kaine, scelto dalla Clinton, senza infamia e senza lode. Pence, invece, ha avuto soltanto lodi.

Perché? È forse Pence più moderato di Trump? Al contrario: è un reazionario che non vuole l'aborto, contrario alle unioni gay, con una sottile vena di razzismo, ma che si è presentato davanti alle telecamere come il buon nonno del Midwest che parla ai nipoti in tono rassicurante, pacato, moderato ma con tempra d'acciaio. È la vecchia posizione resa popolare da Theodore Roosevelt più d'un secolo fa, quando diceva che un buon presidente deve parlare sempre a voce bassa, ma impugnando un nodoso bastone. Per la tradizione, i dibattiti fra aspiranti vicepresidenti non lasciano quasi traccia nei sondaggi, se non per una settimana. Poi, la loro memoria precipita negli abissi. Stavolta è diverso: Pence ha dimostrato a tutti, specialmente a Trump, che è possibile sostenere con grinta le idee più radicali, nel suo caso idee di destra netta, senza mandare in bestia nessuno. Il suo avversario lo incalzava: «Lei sta proteggendo Trump e finge che non abbia detto quel che ha detto». E Pence: «Io non nascondo nulla, ma riconosco che Trump non è un critico rifinito». Polished, rifinito, è un aggettivo provvidenziale per descrivere la più grave mancanza del candidato repubblicano: il tatto e la precisione. Clinton l'aveva battuto con l'accuratezza dei dati e la crudeltà chirurgica delle sue osservazioni. Trump aveva fatto, alla fine del primo dibattuto, la figura dello studente di talento che però non ha studiato.

Adesso siamo ormai alla vigilia del secondo round che si presenta indeterminato. Se Trump avrà la pazienza di studiare la lezione del suo aspirante vice Pence, potrebbe battere ai punti la Clinton. Se invece seguiterà a fare lo studente guascone e approssimativo rischia davvero un calcio sui denti da parte di un elettorato che si sta appassionando, che non dorme affatto e che, fattore di massima importanza, è pronto a cambiare idea e a cambiare voto. Il terreno di scontro sarà a St. Louis, Missouri, domenica sera, quando l'America intera si siederà davanti allo schermo, armata di sandwich e birra per assistere al duello e poi alle interminabili analisi alla moviola, ai commenti e all'esito dei primi sondaggi che plasmeranno ancora una volta un'opinione pubblica in via di formazione. Lo scontro fra Kaine e Pence sarà già dimenticato a quel punto, ma bisognerà vedere se l'avrà dimenticato Trump. Tra l'altro, Pence l'ha già scavalcato a destra negando ogni valore al cambio climatico, sostenendo la deregulation e avendo già firmato, come governatore dell'Indiana, una legge che impone di condannare sempre, magari con una sentenza leggera, gli spacciatori di droga. Al suo confronto, Donald Trump, che è abortista e ha un passato democratico, può sembrare un liberal.

Invece, ecco il suo tallone d'Achille, irrita. Irrita The Atlantic, che per la terza volta nella sua lunga storia si sbilancia con un endorsement: contro di lui. Irrita persino il Wall Street Journal che ieri dava ampio spazio alle notizie secondo cui The Donald avrebbe sempre abbondantemente innaffiato di denaro i funzionari che dovevano decidere sui suoi affari e sulle inchieste che lo riguardano. Restano anche grumi di irritazione nei suoi confronti per la questione dei rapporti con Putin che è rimasta come una lisca fra i denti dei repubblicani tradizionalisti. Pesa ancora su Trump il fatto che registri il più alto punteggio di disapprovazione popolare e che soltanto un terzo degli americani, a prescindere dalle posizioni politiche, lo considerino presentabile come presidente.

E allora eccoci al paradosso finale: Trump, anziché essere valutato come il perdente certo, surclassato dalla ricca macchina della sua rivale, è ancora in grado di risalire la china e sovvertire le probabilità avverse che ha chiamato su di sé per un peccato originale di arroganza, ingenuità e approssimazione.

Commenti