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Tutti a caccia di Pokémon: prendono vita attorno a noi

Il gioco che fa impazzire il mondo è realizzato con la tecnica della "realtà aumentata". Con risultati assurdi

Tutti a caccia di Pokémon: prendono vita attorno a noi

«La realtà aumentata»: un trucco che mescola la tecnologia digitale e quella analogica e che, paradossalmente, di «reale» non ha granché, ma quel che basta per diventare mania. E si basa sulla «realtà aumentata» la nuova applicazione per smartphone messa a punto da Nintendo e Niantic Labs, Pokémon Go, già dilagata in Giappone, Stati Uniti e Australia e in arrivo in Italia il 15 luglio (ma già fruibile in anteprima seguendo passo passo un how-to pubblicato da molti siti: e poco importa, agli utenti più impazienti, se scaricare la app in anteprima può danneggiare il proprio cellulare, come questi how-to segnalano). Ma di che si tratta?

Tanto per cambiare, in sostanza è una caccia al mostriciattolo, il celebre Pokémon: la novità è che, sul display del cellulare, possiamo dargli la caccia su un percorso che stiamo realmente attraversando, magari nella nostra automobile. Come su Google Maps, cioè con una mappa di gioco che segue, tra strade principali e rivoli, la città in cui ci troviamo. Quando c'è un Pokémon nei paraggi, è lo smartphone a darci l'avviso con una vibrazione: lo sbloccheremo, ci guarderemo attorno attraverso la fotocamera e, di lì a poco, il Pokémon sarà «inquadrato»; a quel punto bisognerà utilizzare le dita per lanciare una raffica di «sfere Poké» e intrappolare il piccolo mostro. Realtà aumentata, dicevamo: illusioni incastrate nel nostro spazio e nel nostro tempo (non necessariamente quello libero), e dunque «incrementate» da qualcosa che, proprio perché afferrabile sul display del cellulare, pare esistere di più. Nulla di nuovo. A parte una moda recente l'ennesima che rischia di risucchiarci; anche di catalizzare la nostra attenzione nei frangenti in cui sarebbe opportuno rivolgerla altrove. O addirittura farci ritrovare, col nostro avatar operativo sul display a caccia di animaletti, in anfratti desolati che nascondono misteri. Come è successo a un'adolescente del Wyoming mentre costeggiava un fiume alla ricerca di Pokémon acquatici, e si è ritrovata davanti a un cadavere. Per evitare situazioni così clamorose (e traumatiche), il dipartimento dei trasporti di Washington ha già consigliato via Twitter di «non giocare a Pokémon mentre si è al volante»; inoltre, il primo messaggio che figura all'apertura dell'app è un invito cristallino a tenere gli occhi aperti, mai troppo incollati al cellulare. Guai a seguire il percorso che porta al Pokémon, insomma, se per caso la creaturina animata si trova accoccolata in luoghi isolati e pericolosi.

Il business, però, è già alle stelle. Sfornata da colossi come Niantic (che già aveva sperimentato qualcosa di simile in quanto reale-virtuale con il gioco Ingress), Nintendo e Game Freak, Pokémon Go prevede una sfilza di acquisti all'interno dell'applicazione. I cosiddetti «Poké Stop», che puntellano la distanza tra noi e la nostra fantasmagorica preda, non offrono solo oggetti gratuiti per la nostra caccia. Uova ed esche si possono acquistare anche nel negozio pagando in Pokémonete. 100 unità costano 0,99 euro, ma si possono anche accumulare con diverse azioni, per esempio conquistando una palestra. Poi ci sono le medaglie: se ne conquistano in base alle proprie catture e al genere di mostri che abbiamo scovato.

Pokémon Go sfrutta una tecnologia che trova il grande pubblico magnetizzato come da una calamita.

Del resto, i piccoli mostri giapponesi hanno all'attivo vent'anni di curriculum: 24 videogiochi hanno venduto circa 260 milioni di copie, per un fatturato di 40 miliardi di dollari.

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