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Tutti a lezione dal prof Curcio: il terrorista rosso piace sempre

L'ideologo Br invitato dall'Ausl a una conferenza pubblica a Modena. Per certi intellettuali attratti dal profumo delle molotov gli ex brigatisti hanno una giustificazione morale in più

Tutti a lezione dal prof Curcio: il terrorista rosso piace sempre

La notizia che Renato Curcio, uno dei fondatori delle Brigate Rosse, è stato invitato dall'Ausl di Modena per presentare un suo libro alla «Settimana di sensibilizzazione della salute mentale» ha sollevato le solite polemiche, in città e sulla Rete. È giusto chiamare a parlare in pubblico un terrorista, irriducibile o dissociato che sia? Chi ha saldato il proprio conto con la giustizia ha il diritto, oltre a quello sacro di opinione, di «tenere una lezione» all'interno di istituzioni di quello Stato che in passato voleva abbattere? E se l'intervento pubblico di un brigatista che ha scontato la pena è oggi legittimo dal punto di vista giuridico, è anche opportuno dal punto di vista del rispetto delle vittime della violenza di ieri ?

È con una certa noiosa frequenza che di volta in volta si torna a parlare di «cattivi maestri» che salgono in cattedra, di maître à penser della P38 che scrivono, pubblicano, pontificano e dottoreggiano tra un festival e una presentazione di libri, di ideologi della lotta armata che deposte le mitragliette hanno imbracciato la penna per raccontarci, di nuovo, le loro (vecchie) idee. E ogni volta, ciò che stupisce non è l'incapacità degli ex combattenti di accettare la propria uscita di scena in un tempo che nulla ha a che fare con l'epoca che li vide sanguinari protagonisti; né infastidiscono più le insopportabili giustificazioni «umanitarie» o «professionali» di chi li chiama di nuovo alla ribalta (ieri gli organizzatori dell'incontro di Modena hanno spiegato l'invito di Curcio dicendo che «Uno Stato di diritto tutela la memoria delle vittime dei reati ma non esercita la vendetta. Solo così le ferite del passato...», sì va tutto bene, ma basta coi comunicati in ciclostile anni Settanta).

No, quello che colpisce, ancora una volta, è il fascino perverso e difficile da spiegare che i terroristi rossi - in tutte le possibili declinazioni: Br, Prima linea, Potere operaio, Lotta continua... - esercitano sempre sui nostri intellettuali di sinistra. Appena sentono il profumo delle vecchie molotov, i salotti progressisti stappano champagne. Non se ne esce.

Certo, chiunque ha diritto di parola, sempre e comunque, figuriamoci una volta scontata la pena. Certo, è giustissimo che anche il peggiore criminale si rifaccia una vita e provi a risarcire la società almeno di una parte del male che le ha procurato. Certo, dall'incubo del passato si deve tentare di uscire anche sognando una riconciliazione che pure la realtà stenta ad accettare. Tutto vero. Ma - ecco la domanda - perché coloro che ieri guidarono la rivoluzione con la falce dell'ideologia che taglia ogni dissenso e che la portarono avanti con il martello insanguinato della lotta armata, oggi - rispetto ai criminali comuni - godono di una corsia privilegiata e una giustificazione morale in più? Perché se sei un terrorista rosso (esecutore materiale di un assassinio o mandante che sia) è più facile, rispetto a tutti gli altri, scrivere sui grandi giornali, pubblicare libri, essere invitato a presentarli, in luoghi pubblici o in tv? O magari, come è capitato ad Adriano Sofri a giugno, essere nominato coordinatore degli Stati generali del carcere da un ministro della Repubblica. O come è capitato a Toni Negri ad agosto, essere invitato a tenere una lectio alla Biennale d'arte di Istanbul. O come è capitato per anni e continua a capitare a Cesare Battisti, essere definito prima «giallista» e poi omicida. O come capita ad Adriana Faranda, essere presentata come una fotografa più che come una che è stata nella direzione strategica delle Br. O come è capitato ad Alberto Franceschini, che fondò le Br con Curcio, essere scelto come consulente per un'Arci dove uno studente in cerca di lavoro non riesce a fare neppure uno stage gratuito.

E perché, se io che sono giornalista del Giornale scrivessi - e non lo scrivo - che i libri di Erri De Luca vanno sabotati perché dice cose gravissime, sarei radiato dall'Albo, mentre se lui dice che la Tav va sabotata con molotov e cesoie gli intellettuali di sinistra firmano (legittimi) appelli in sua difesa ed è ospitato nei salotti buoni televisivi? Già, perché?

Un paio di anni fa, Maurice Bignami, leader sanguinario di Prima linea - un dirigente Caritas che scrive libri e va in giro a presentarli - disse «Temo che un giorno all' Isola dei famosi sbarcherà un ex terrorista». Ci siamo quasi. E la prima intervista la darà a Repubblica .

di Luigi Mascher oni

Milano

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