Politica

Uber si fa rubare i dati Poi cede al riscatto e paga

Centomila dollari agli hacker che nel 2016 hanno piratato 57 milioni di nomi. Volevano insabbiare

Valeria Robecco

New York Doppiamente colpevole: Uber si fa rubare i dati sensibili di 57 milioni tra clienti e dipendenti, e paga un riscatto di 100mila dollari per insabbiare tutto. Non c'è pace per la società di San Francisco, finita nel mirino delle critiche perché invece di rendere noto l'attacco hacker ha preferito pagare gli autori del maxi furto affinché non divulgassero la notizia. L'incidente sarebbe avvenuto ad ottobre del 2016 e riguarda nomi, email, numeri di telefono di 50 milioni di utenti e 7 milioni di conducenti, oltre ai numeri di patente di 600mila autisti. L'app di servizio auto con conducente ha garantito che non sarebbero stati trafugati altri dati come i numeri delle carte di credito o del social security (l'equivalente del codice fiscale), e neppure i particolari sui viaggi effettuati.

Il Ceo di Uber, Dara Khosrowshahi, alla guida della società dall'agosto scorso, ha detto di aver saputo dell'incidente solo «recentemente», precisando che i responsabili sono due persone che non fanno parte della società, di cui però non è stata fornita l'identità. «Al momento dell'incidente abbiamo preso misure immediate per mettere al sicuro i dati e porre fine all'accesso non autorizzato - ha affermato - Abbiamo identificato i responsabili e ottenuto assicurazioni che le informazioni raccolte saranno distrutte». Un obiettivo raggiunto, secondo i media Usa, pagando il «riscatto». Il Ceo ha garantito anche che la società ha «attuato misure di sicurezza per limitare l'accesso e rafforzare i controlli della banca dati». «Non posso cancellare il passato - ha sottolineato Khosrowshahi - ma posso impegnarmi a nome di tutti i dipendenti che impareremo dagli errori. Stiamo cambiando il nostro modo di fare business, mettendo l'integrità al centro di ogni decisione e lavorando duramente per guadagnarci la fiducia dei clienti».

L'episodio, tuttavia, rende ancora più difficile il compito già complesso dell'amministratore delegato, che sta cercando di sistemare i numerosi guai della società. A partire dallo scandalo sugli abusi sessuali, per cui il fondatore ed ex Ceo Travis Kalanick si è dimesso prima dell'arrivo di Khosrowshahi. E poi c'è la causa in corso che vede Uber contro Waymo, la divisone di auto senza pilota di Google, e la possibile quotazione del prossimo anno. Ma anche la disputa legale con le autorità di Londra, che potrebbe causare non pochi problemi alle attività dell'app nella metropoli inglese.

Proprio la Gran Bretagna, intanto, ha sollevato «enormi preoccupazioni» sulla politica aziendale e sugli standard «etici» di Uber. «È sempre responsabilità dell'azienda prendere misure adeguate per ridurre il danno ai consumatori in caso di violazioni che riguardano i loro dati personali», ha detto James Dipple-Johnson, dell'autorità per il controllo sull'informazione e la protezione dei dati personali britannica. Ricordando che nel Regno Unito sono previste «pesanti multe» se le aziende provano a insabbiare.

E il procuratore dello Stato di New York Eric Schneiderman ha aperto un'inchiesta sul furto dei dati a Uber.

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