Politica

Ultimo assalto all'Italicum Renziani in pressing sul Pd

Boschi, Lotti e lo stesso premier incalzano i deputati in vista delle votazioni Bersani: "Dal governo ingerenze indebite, mi appello alla libertà di coscienza"

Ultimo assalto all'Italicum Renziani in pressing sul Pd

Azzoppato dalle bugie sull' affaire Obama, un mastodontico pasticcio all'italo-americana, l'anatra Matteo Renzi s'è innervosita come non mai. La faccia feroce sull'approvazione dell' Italicum , l'unica delle riforme che può garantire il potere cui aspira, stavolta non è pura sceneggiata. Alla nuova legge elettorale il premier ha affidato le fondamenta della sua parabola, prova ne sia l'inglesismo con il quale ha lasciato gli studi de La7 l'altra sera: «Allora ci dicano che gli stiamo sui coglioni...», ha sibilato inspiegabilmente a chi gli chiedeva degli eventuali franchi tiratori.

Renzi ha puntato la posta pesante: che si tratti di bluff o meno, la minaccia di mandare tutti a casa se non approvano l' Italicum di fatto ha anticipato già le mosse della maggioranza, decisa a porre la questione di fiducia a ripetizione su ognuno degli articoli fondamentali. Più o meno come fece Alcide De Gasperi con la legge-truffa del '53 (assai meno truffa di questa renziana, peraltro). Dopo i primi voti d'aula di domani sulle sospensive, martedì si arriverà al primo voto a scrutinio segreto annunciato dal capogruppo di Forza Italia, Renato Brunetta, sulla pregiudiziale di incostituzionalità. Da quel voto Renzi intende capire la tenuta della maggioranza, e agire di conseguenza quando si cominceranno a votare i singoli articoli dell' Italicum , dal 5 maggio in poi. La pressione sui parlamentari è notevole, esercitata anche direttamente, si dice, dalla Boschi, da Lotti e dal premier stesso. Lo stato maggiore è mobilitato: alla Boschi ieri è toccata la parte dello sceriffo buono («Non è una prova di forza»), mentre Serracchiani, Lotti eccetera suonavano la grancassa della vittoria certa. Segnali di paura, ma anche della consapevolezza di giocarsi il tutto per tutto, proprio mentre sempre più flebili appaiono le voci della minoranza. Ieri è stato l'ex leader Bersani a porre un altolà: «Quella di Renzi che dice che se la legge non passa cade il governo è una pressione indebita perché non tocca al governo... Dopo di che io sono affezionato alla mia ditta, il Pd, che però ha una regola, che stabilisce che davanti ai temi costituzionali ogni singolo parlamentare si assume liberamente le sue responsabilità». Duro, come sempre il giudizio sulla legge elettorale: dall'incrocio di essa con la riforma della Costituzione, sottolinea Bersani, deriverà un cambiamento del sistema, «un presidenzialismo senza contrappesi, un meccanismo sconosciuto a tutte le democrazie del mondo». Sgarbata replica del renziano Marcucci: «Bersani pensi al Porcellum , che poteva cambiare e non l'ha fatto, sbagliando pure i conti...».

Il parere dell'ex ministro lettiano Mario Mauro - «legge elettorale fondata sulla prepotenza» - è condiviso da molti, fuori e all'interno del Pd. Un oppositore ormai conclamato del renzismo, Francesco Boccia, è talmente perplesso da aver convocato gli iscritti del proprio collegio per farsi dire che cosa fare. La minaccia elettorale in caso di mancata approvazione non scalfisce invece il muro delle opposizioni; per il senatore forzista Nitto Palma «non potrebbe essere altrimenti, considerato quanto il governo si sia impegnato e speso sull'approvazione dell' Italicum ». Acque agitate invece tra i grillini, che sono stati in buona parte convocati a giudizio dalla Boldrini martedì e mercoledì prossimi per aver gridato «Onestà» durante il voto su quella che definiscono la «schiforma del Senato» a metà febbraio scorso. La coincidenza fa sospettare al deputato Toninelli una strategia tesa a «intimidirci per farci desistere dal protestare... Ma se invece l'intento fosse proprio quello di tenerci fuori dall'aula durante le votazioni, sarebbe un colpo di Stato».

Iperbole per iperbole, si capisce già che non sarà affatto una settimana da educande.

Commenti