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Con le urne in estate l'affluenza resta bassa. Unica eccezione nel 2011 per acqua e nucleare

Dal 2000 le consultazioni popolari hanno fatto flop. E nel 2016 votò il 31%

Con le urne in estate l'affluenza resta bassa. Unica eccezione nel 2011 per acqua e nucleare

La parola chiave è: accorpamento. Il secondo turno delle Amministrative e i referendum. Risparmi garantiti e più elettori alle urne. Argomento controverso per una proposta di fatto bocciata dalla legge sull'election day del 2011. La disciplina è chiara: va bene mettere insieme Comuni, Province e Regioni, ma il referendum abrogativo è un'altra cosa.

Questa è la legge, la metrica del responso popolate segue altre logiche: ci fu il «doppio voto» nel 2009 ma andò male e il quorum del 50 per cento più uno non fu raggiunto; nel 2011, invece, senza alcuna spinta, l'acqua e il nucleare - già abolito una prima volta nel 1987 dal popolo la cui volontà però vale solo per cinque anni - portarono quasi miracolosamente alle urne il 54 e passa per cento degli italiani. Un dato ancora più rilevante perché le cabine furono aperte il 12 e il 13 giugno, insomma in un periodo in cui il mare, le creme e le spiagge hanno più appeal delle lenzuolate in cui si prospetta l'eliminazione di questa o quella norma.

Nel 2016, in aprile, quindi sulla carta in un momento più propizio, il meccanismo si è inceppato di nuovo, arenandosi sulla «proroga delle concessioni di estrazione di idrocarburi entro le 12 miglia marittime». Un tema che evidentemente non appassionava più di tanto, se questa volta meno di un terzo degli aventi diritto ha raggiunto i seggi. E precisamente solo un modesto 31,18 per cento.

La verità è che l'istituto ha perso forza col tempo. Sono lontani gli anni dei grandi scontri civili, come fu per l'aborto e prima ancora per il divorzio, quando il tema, divisivo ma assai sentito da tutti, catturò addirittura l'87,7 per cento degli italiani. Tutti alle urne, allora. Poi la storia è cambiata e dal 2000 è un susseguirsi di tonfi e mezzi flop, con l'eccezione del 2011. Si era già proposta il 13 giugno del 2000 la separazione delle carriere, introducendo la mai risolta questione giudiziaria ma allora non si superò quota 32 per cento. Ancora più bassi i numeri alle consultazioni successive, compresa quella con il bonus dell'abbinamento nel 2009. Il quesito, tecnico per non dire astruso, «sull'abrogazione della possibilità di collegamento fra liste» è stato snobbato da oltre tre quarti degli italiani.

C'è stato di nuovo il «jolly» della doppia chiamata nel 2020, peraltro accompagnato da puntuali polemiche, ma quello era un referendum costituzionale, sulla riduzione del numero dei parlamentari, e il quorum non serviva.

«Il vero problema - spiega Alfonso Celotto, costituzionalista, ordinario a RomaTre - è che in questo modo si altera il voto. Perché si va alle urne in alcune regioni ma in altre no, quindi è facile immaginare che il dato sull'affluenza sia disomogeneo sul territorio nazionale e dipenda dalle situazioni locali».

Tutto vero, ma i promotori insistono perché ci sia, dove è possibile, l'incentivo delle amministrative. Sul piatto c'è poi il tema evergreen del risparmio di soldi del contribuente.

In ogni caso la consultazione si annuncia tutta in salita: ci fossero stati i referendum sull'eutanasia e sulla liberalizzazione della cannabis forse sarebbe stata un'altra cosa. Così pure avrebbe funzionato da esca quello, stoppato dalla Consulta, sulla responsabilità civile dei magistrati.

Si vedrà, dopo due anni di pandemia, gli italiani vogliono riappropriarsi della vita di prima.

Chissà se apriranno le schede.

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