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Gli Usa non ci stanno: «Fate il gioco dei rapitori»

Gli Usa non ci stanno: «Fate il gioco dei rapitori»

New YorkLe polemiche sul presunto riscatto pagato o non pagato dall'Italia per la liberazione di Greta e Vanessa fanno risorgere un dibattito che va avanti da decenni e che vede da una parte alcuni Paesi europei - nessuno ha mai confermato d'aver scambiato soldi contro ostaggi - e dall'altra una ferrea politica americana d'opposizione a ogni tipo di concessione. Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Australia e Nuova Zelanda sono le nazioni che per certo non accettano d'aprire le loro casse quando un loro cittadino è sequestrato, minacciato di morte, ha spiegato al Giornale Dane S. Egli, ex consigliere della Casa Bianca di George W. Bush proprio sulla questione ostaggi e autore del libro Beyond the Storm , sull'emergenza terrorismo. L'America spera che presto sia trovata unità a livello internazionale su come resistere all'urgenza della concessione.

L'ex consigliere di Bush elenca i punti saldi della politica degli Stati Uniti, in cui la legge vieta al governo e a qualsiasi individuo di versare denaro a gruppi sulla lista nera del terrorismo: essere coinvolti in negoziati con un partner non affidabile può far sentire meglio in un primo momento, ma a lungo termine non è detto che si ottenga l'obiettivo prefissato.

Dall'altra parte, infatti, ci sono gruppi che uccidono donne e bambini, decapitano innocenti: «Se non hanno regole, come possono essere partner in business?». «Non possiamo premiare questi comportamenti. Le barbarie di questi terroristi sono segno di debolezza, non di forza. Noi crediamo nella vita, loro nella morte: dobbiamo partire dal presupposto che la nostra è una causa più forte».

Poi, c'è la questione pratica che tocca oggi da vicino un'Europa colpita al cuore dagli attentati di Parigi. È una questione economica, di domanda e offerta: i comandanti dei movimenti terroristici finanziano le loro operazioni di morte tramite il contrabbando di petrolio, oggetti d'arte, il racket dell'immigrazione... ma da un solo ostaggio possono ricevere più velocemente migliaia di dollari o euro: «Ogni soldo che entra nelle tasche di questi gruppi porta all'aumento del numero di futuri ostaggi e al rafforzarsi delle opere dei terroristi».

Per l'America, un'Europa che paga dà legittimità a organizzazioni che cercano riconoscimento internazionale. «I giornalisti, gli operatori umanitari, i missionari che sono partiti per fronti pericolosi - continua Egli - sapevano di correre un rischio, lo hanno accettato. Come Paese non siamo obbligati ad accettare quel rischio». Egli, durante i suoi anni alla Casa Bianca, ha dovuto spiegare a genitori, mogli, fratelli e sorelle di ostaggi che il governo non avrebbe pagato: «Non è facile, a volte capiscono subito e sono d'accordo», anche se il caso dello scambio di prigionieri talebani avvenuto per la liberazione nel 2014 del sergente Bowe Bergdahl, «ha causato ansie alle famiglie di alcuni americani rapiti cui era stato detto nei loro rispettivi casi che non sarebbero state fatte concessioni».

La politica americana è particolarmente chiara sulla questione degli ostaggi e «non cambierà», e le azioni dei terroristi «non la cambieranno», spiega al Giornale Brian Katulis, esperto di sicurezza nazione e terrorismo al Center for American Progress, think tank vicino all'amministrazione Obama.

I Paesi che pagano riscatti «creano un incentivo» per nuovi atti di terrore e «aumentano la possibilità d'avere problemi in casa».

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