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La vendetta di Pizzarotti accende la rivolta in rete

L'ex grillino sindaco di Parma demolisce la doppia morale grillina. E incassa subito più «like» di Di Maio

La vendetta di Pizzarotti accende la rivolta in rete

In meno di tre anni è passato dall'essere un «traditore» del Movimento cinque stelle allo status di depositario dei principi originari traditi dal capo politico e vicepremier Luigi Di Maio. Federico Pizzarotti, primo sindaco di un capoluogo nella storia dei grillini, Parma, all'indomani del salvataggio di Matteo Salvini via piattaforma Rousseau è diventato di nuovo un simbolo per molti militanti. Nel 2012, quando fu eletto primo cittadino, era la dimostrazione che i ragazzi cresciuti con i gruppi degli «Amici di Beppe Grillo», svezzati a V-Day e meetup, potevano vincere le elezioni e governare un capoluogo. Solo un anno dopo il M5s riuscì a entrare in Parlamento per aprirlo come «una scatoletta di tonno».

La prima di una serie di rivendicazioni disattese. E così Pizzarotti, cacciato nel 2016 dal Movimento, bollato con il marchio di infamia da Grillo in persona, ai tempi del governo gialloverde è assurto a totem dell'integrità morale che fu. Nella serata della piroetta finale, il salvacondotto dai magistrati concesso a Salvini dalla piattaforma di Casaleggio, il sindaco ha messo le mani sulla tastiera e ha scritto un post su Facebook, già «virale» dopo poche ore. «Attenzione post che induce ulcera» ha avvertito, prima di elencare tutte le regole interne che i Cinque stelle hanno «tradito» durante gli ultimi anni. Pronti via, «tutto in streaming, sparito lo streaming (fin dal meraviglioso incontro in luogo segreto con Casaleggio padre che andò a prenderli in autobus privato per portarli chissà dove senza streaming, dopo l'elezione di Grasso presidente del Senato)». Poi: «mai alleanze con i partiti (con specifica menzione della Lega): non c'è bisogno di spiegazioni». La lista prosegue, impietosa, con altri ventidue punti originari smentiti dai fatti. Le rendicontazioni di spese e stipendi, il divieto di andare in televisione, i dietrofront sull'uscita dall'euro, il No al Tap diventato sì, il condono fiscale e edilizio, la retorica del «Fuori i partiti dalla Rai» e del «Mai più governi non eletti». Tutto cambiato, fino all'ennesima svolta: la concessione dell'immunità parlamentare a Salvini indagato. «E con questa direi che le regole a cui non si deroga sono finite», commenta Pizzarotti.

La reprimenda conta, nel momento in cui scriviamo, 40mila e 791 like e 29mila e 243 condivisioni. Più di quanto otterrebbe un ministro, vicepremier e leader del partito più votato alle ultime elezioni politiche. E non è un modo di dire: il post di Di Maio sul voto di Rousseau, pubblicato più o meno negli stessi minuti, ha 25mila e 812 «mi piace» ed è stato condiviso solo 3mila e 116 volte. Senza contare le proteste degli attivisti tra i commenti alla riflessione del capo politico.

E pensare che Pizzarotti, a maggio 2016, era stato sacrificato da Grillo sull'altare del rispetto dei principi inderogabili. Il sindaco, indagato per abuso d'ufficio e poi archiviato in merito a una vicenda di nomine al Teatro Regio della città emiliana, era stato sospeso dal M5s per non aver comunicato ai vertici grillini l'apertura dell'inchiesta ed essersi rifiutato di trasmettere la documentazione legale con una mail indirizzata a un fantomatico «staff di Grillo». Dopo pochi mesi, il comico lo aveva già relegato nel girone dei «traditori».

Adesso la «vendetta» a suon di like e con un'immagine, allegata al post, dove si vede un simbolo in cui si fondono gli emblemi di Lega e M5s.

E una scritta: Game Over.

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