Politica

«Venezia? È Disneyland» Stampa estera all'attacco

Dopo il «Guardian» anche il «NY Times» condanna il degrado della città lagunare

Serenella Bettin

Venezia preda dei turisti, Venezia preda dell'afa che non si arresta, Venezia in mano a facchini e venditori abusivi e, soprattutto, Venezia boccone prelibato dei quotidiani britannici e statunitensi. Basta andare un giorno nella città più bella del mondo per capire come essa non sia solo poesia e romanticismo, arte e cultura; Venezia è anche lo sciaguattare delle onde del mare mosso dalle imbarcazioni stracolme e dai colossi delle grandi navi, è l'assalto dei turisti, è la lunga coda ai vaporetti, è l'ingorgo lungo le calli, è l'immondizia lasciata a terra da chi bivacca, è il turista che gira a torso nudo tra i merletti dei palazzi, il genio che si tuffa dal ponte di Rialto, quello che si stende nudo sul pontile o quella che orina nel Canal Grande in mezzo alle gondole ed è il pullman carico di turisti che arriva a piazzale Roma e scarica le valigie come fossero bancali di frutta. E soprattutto è la musica incessante dei trolley che passano sotto i davanzali degli ultimi residenti veneziani.

Così lo scherno mediatico continua. Prima il Guardian che lancia l'allarme per l'inquinamento delle grandi navi e ora il New York Times che calca la mano: Venezia rischia di diventare «La Disneyland del mare». «La musica di sottofondo della città scrive Jason Horowitz ora sono le rotelle delle valigie che scalano i gradini delle passerelle mentre falange di turisti marciano lungo i canali». Il problema, dice il quotidiano, sono le navi da crociera che spezzano la visuale come «un'eclissi che copre il sole». «Quando un visitatore, o almeno questo visitatore, arriva alla stazione di Venezia aggiunge - lo assale una strana sensazione, di essere nella versione Las Vegas di Venezia piuttosto che in quella vera: forse sono tutti quei bagagli, le buste dello shopping, la mancanza di italiani...». Già, perché Venezia si spopola sempre più. «Gli abitanti della città continua il New York Times quelli che sono rimasti si sentono inondati dai venti milioni di turisti ogni anno. I negozi hanno dovuto mettere le insegne alle vetrine per indicare Piazza San Marco o il Ponte Rialto, in modo che le persone smettano di chiedere loro dove andare». Non solo: i veneziani sono stati costretti a mettere dei cartelli per la città per dire ai turisti di avere rispetto di questa perla lagunare. Il New York Times ricorda che il governo italiano, per evitare il turismo «mordi e fuggi» sta pensando a limitare il numero dei turisti, miusra in realtà improponibile. E cita il ministro Franceschini quando invita a salvare l'identità delle città italiane, la cui «bellezza non è solo l'architettura ma anche l'attività effettiva del luogo, dei negozi e delle botteghe». Botteghe che a Venezia sono sempre meno, sostituite dai negozietti di chincaglieria cinese e bengalese. Fioccano anche i venditori abusivi che si contendono piazza San Marco, delimitano il territorio e se qualche altro mette piede sulla loro «mattonella» scoppia la rissa. E poi, troppi b&b, i palazzi diventano hotel e gli affitti sono solo ai turisti e non ai veneziani.

La sensazione quando si esce da Venezia è che la città, costruita in mezzo all'acqua, resista a turisti e stampa britannica, ma che se non la aiutiamo fatichi a rimanere a galla.

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