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La vera trappola del decreto: controlli extra per tre anni

Nel Dl fiscale con il condono un comma seminascosto Prolungati gli accertamenti per chi non fa la sanatoria

La vera trappola del decreto: controlli extra per tre anni

Se è vero che una manina ha inserito un condono extra large dentro il decreto fiscale, da qualche parte una manona ha voluto aggiungerci, in un comma seminascosto, una stretta ai controlli vecchio stile. Di quelle che piacevano al Pd di Vincenzo Visco. Un inferno prolungato di tre anni di controlli per tutti i contribuenti, onesti e non.

In sostanza, ha spiegato Enrico Zanetti, ex viceministro e commercialista, nel decreto fiscale è celata una «aggressione fiscale per molti travestita da pace fiscale per pochi». La tesi di Zanetti è che stralcio, condono e rottamazione riguarderanno alla fine pochi contribuenti. Troppi i paletti e le cifre delle dichiarazione integrativa speciale - il vero e proprio condono - sono fatte in modo da delimitare il campo a pochi casi.

In compenso «i molti che non faranno» il condono «resteranno accertabili per 3 anni in più». Si allungano i termini dell'accertamento per chi non aderisce. Dettaglio nascosto nell'ultimo comma dell'articolo che prevede il condono. Il 9, lo stesso modificato dalla manina secondo il M5S. La stretta sui controlli si trova un po' più sotto rispetto alla parte contestata dal vicepremier Luigi Di Maio, meno visibile agli occhi di ministri e leader della maggioranza.

Il sospetto è che dietro un condono si nasconda la voglia di tornare a controlli poco amichevoli. «L'elenco di chi aderisce facendo emergere parte dei redditi - spiega Zanetti - potrebbe diventare una lista preferenziale di soggetti da controllare. Poi per tutti gli altri, si allungano i tempi di tre anni, in modo da permettere altri controlli. Una strategia raffinata che non credo porti la firma del M5S. Ma si sa che dentro la macchina c'è chi ragiona così».

Forse i nostalgici di Equitalia vecchio stile, nemici della «compliance», che cercano nei pentastellati un alleato per tornare ai tempi d'oro. Il comma è probabilmente sfuggito al controllo del vicepremier Matteo Salvini.

Ieri il giallo della manina che ha modificato il decreto ha dato modo agli addetti al settore di fare chiarezza sulle norme contestate. Di Maio ha contestato l'inclusione dell'evasione della imposta sugli immobili all'estero e poi la non applicabilità delle norme penali per chi fa emergere le somme parziali non dichiarate. Peccato che senza questa parte della legge diventi difficile fare emergere le somme emerse senza incorrere in diversi reati, la più grave il riciclaggio. Un passaggio obbligato, insomma.

Impossibile prevedere una dichiarazione integrativa speciale, diversa da quella ordinaria, senza escludere le sanzioni penali da dichiarazione infedele o fraudolenta.

Per quanto riguarda gli immobili all'estero possibile che Di Maio abbia preso «una cantonata», spiega ancora Zanetti. Ha pensato di essere di fronte ad una voluntary disclosure, mentre il tema è l'imposta sugli immobili all'estero.

L'equivoco (o il caso montato ad arte) rischia di fare saltare tutto il provvedimento, che prevede altre norme, per ora non contestate. C'è la rottamazione bis, con condizioni agevolate per chi ha aderito alla prevedente versione, l'atteso stralcio dei debiti fino a 1.000 euro relativi agli anni dal 2000 al 2010. Poi la definizione agevolata delle controversie tra contribuenti e fisco, l'accelerazione sulla fatturazione elettronica e la comunicazione telematica degli scontrini.

Poi il il Dl semplificazioni e il Ddl di Bilancio, che sposta l'asticella del deficit del 2019 al 2,4, sterilizza gli aumenti dell'Iva mette le basi per il reddito di cittadinanza e la riforma delle pensioni superando la Fornero. Una manovra da 37 miliardi che l'Europa ha già bocciato.

Se dovesse saltare tutto, gli italiani si ritroverebbero con aumenti dell'imposta su beni e servizi.

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