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Il vescovo scomunica le coop che hanno rovinato i soci

Monito dopo il crac di Unieco a Reggio Emilia: "Non si fanno i soldi così". Legacoop replica: li aiuti la Chiesa

Il vescovo scomunica le coop che hanno rovinato i soci

Reggio Emilia - È la prima volta che un vescovo «si permette» parlare di cooperative. Ma a Massimo Camisasca, le motivazioni non mancavano: dopo il crac di Unieco, ennesima cooperativa caduta sotto il peso di 500 milioni di euro di debito, i lavoratori lasciati a casa sono stati centinaia e il prestito sociale si è polverizzato. Così il vescovo della Diocesi di Reggio Emilia ha lanciato un appello a fare di tutto per salvare i posti di lavoro e i risparmi di una vita di piccoli soci che ciecamente hanno creduto nelle virtù della cooperazione rossa, anche per via dei tassi di interesse altissimi.

«Non si può gestire un evento cooperativo con i criteri del capitalismo avanzato. Se si vogliono fare soldi, non si devono fare le cooperative. Se si vogliono fare le cooperative, non è questa la strada per fare soldi», ha detto intervistato dalla Gazzetta di Reggio. Apriti cielo. Eppure quella che ha espresso Camisasca non è altro che una verità taciuta da decenni. Cooperative cresciute come holding ricchissime con quotazioni e società satellite, Unieco l'ultima caduta, ne aveva 200. Insomma: traditi i valori cooperativi. Se a dirlo nella terra di Camillo Prampolini è un vescovo ecco che si ripropone il cliché di don Camillo e Peppone, con la centrale cooperativa a fare la parte del sindaco rosso.

Infatti Legacoop Reggio, il cui ex presidente nazionale, Giuliano Poletti, siede oggi nella poltrona di ministro del Lavoro, se l'è presa come non mai era accaduto. E nel replicare al prelato ha pensato di buttarla sul pietistico.

«Se le parole del vescovo si riferiscono a un impegno e a una disponibilità comune a partecipare a una iniziativa di solidarietà che possa risolvere i problemi delle imprese cooperative e dei loro soci, allora con queste ci troviamo e ci troveremo sempre d'accordo». Che tradotto vuol dire: anche la Chiesa contribuisca a restituire il debito dei piccoli soci. La cosa potrebbe sembrare una battuta, ma battuta non è, specie se si considera che il principio della mutualità qui è sempre stato inteso così: finché c'è trippa è merito del partito, se la trippa finisce è colpa di tutti. Infatti a ben vedere il dibattito in questo scorcio di Emilia a fronte dell'ennesimo fallimento del sistema cooperativo, la colpa sembra che non se la voglia prendere nessuno.

Lo testimoniano le prese di posizione di giornali e partiti, leggi il Pd, che si stanno smarcando da tutto e da tutti, dando la colpa ai dirigenti. Eppure, il Pd, i giornali locali, le consorterie varie, nella mangiatoia delle coop si sono abbuffati per tutti questi anni, con reciproci interessi, porte girevoli e cinghie di trasmissione. Oggi la parola d'ordine del Pd renziano è: scaricare quei vecchi comunisti di ex presidenti di coop.

In questo quadro si comprende come le parole del vescovo abbiano sparigliato le carte suonando il gong finale su un sistema economico e sociale che non tiene più il passo con i tempi e rivela tutte le sue fragilità, acuite da una crisi che, chiudendo i rubinetti dei comuni, ha sigillato i lucchetti dei cantieri.

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