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Veti e vecchi rancori Così il Pd si squaglia in diretta televisiva

La minoranza azzanna il premier in direzione, D'Alema e Bersani scatenati. I lettiani e Orfini tentano la mediazione poi si va alla conta. E ora al Senato si balla

Veti e vecchi rancori Così il Pd si squaglia in diretta televisiva

Botte da orbi nel Pd con gli antirenziani, sconfitti, pronti ad azzannare il premier. Sarcastico e acido D'Alema che gli dice in faccia di studiare di più: «Meno spot, meno slogan, occorrerebbe studiare». Durissimo Bersani che evoca il metodo Boffo: «Non è accettabile che chi esprime un'idea venga privato della dignità». Insomma, volano gli stracci in direzione. La minoranza si piega ma non si spezza e sputa veleno sul segretario. I numeri in campo dicevano già prima che la direzione cominciasse come sarebbe finita: plebiscito per Renzi. 130 favorevoli, 20 contrari e 11 astenuti. Le variabili erano altre: i toni che il premier avrebbe usato per surclassare i nemici interni; lo zuccherino che avrebbe concesso alla sinistra del partito per far loro digerire i bocconi amari del Jobs Act, articolo 18 in testa. Ma se l'esito della conta in direzione era scontato, quello in Senato, nei prossimi giorni, sarà tutta un'altra storia ed è lì che i dissidenti promettono di vendicarsi. In Aula Renzi non è così blindato come nel partito e 40 parlamentari hanno già promesso di fare le barricate per non far passare una «riforma di destra». Minaccia a cui Renzi dà un peso relativo perché - a ragione - i frondisti sono tutt'altro che uniti.

È il caso di dire «Cinquanta sfumature di dissidenza»: ci sono i radicali anti-Renzi alla Civati, Casson e Mineo; ma anche i trattativisti alla Orfini e Speranza. Questi ultimi, per esempio, per tutta la giornata di ieri hanno cercato una mediazione in extremis, chiedendo che il premier concedesse qualcosa all'ala sinistra del partito. In mezzo i lettiani alla Boccia e poi la vecchia guardia, con D'Alema, Bersani, Bindi ed Epifani pronti a mettergli i bastoni tra le ruote perché accusato di ascoltare «più Verdini di noi». Insomma, un braccio di ferro giocato con i nervi a fior di pelle.

Per tutta la giornata s'è cercato di evitare che una direzione tesissima diventasse una direzione drammatica con perfino lo spettro della scissione. La minoranza s'è riunita a Montecitorio per trovare una linea comune tra le varie anime. S'è parlato di un documento che recepisse tutte le obiezioni in campo, nel tentativo di far cambiare rotta al premier. Un'arma che resta nella fondina in attesa della replica di Renzi. La replica arriva ma non convince; così parte un documento alternativo, i cui registi sono Fassina e Boccia con il placet di Cuperlo e Civati. È rottura con la minoranza. Che però è divisa tra i Fassina e i Civati, contrari a dare deleghe in bianco al governo e i giovani turchi pronti a sostenere il premier di fronte a qualche apertura del governo. È il famoso zuccherino. Per alcuni lo è il riferimento al reintegro discriminatorio e disciplinare, ma soprattutto il riferimento al miliardo e mezzo per gli ammortizzatori sociali.

Ma ci pensa uno scatenato D'Alema a picchiare duro: «Una riforma degli ammortizzatori non costa un miliardo e mezzo ma dieci volte tanto, se la si vuole fare con qualche serietà, diciamo...». E poi cerca di distruggere il premier: «Potrei fare un lunghissimo elenco di affermazioni prive di fondamento». E ancora: «Chi è al governo deve fare attenzione ai fatti e l'articolo 18 non esiste più da due anni», ghigna. Poi, sprezzante, cita Stiglitz che, dice, «capisco è un vecchio rottame della sinistra, ma è un premio Nobel. Premio che i giovani consiglieri qui presenti non sono ancora riusciti ad ottenere».

Nella foga prende pure una cantonata: «La legge Fornero prevedeva un monitoraggio che ad ora non è stato compiuto», dice. E invece il monitoraggio è stato fatto eccome. E mentre volano gli stracci in sala, nelle retrovie il braccio di ferro continua. E continuerà.

 

di Francesco Cramer

 

Roma

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