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"Voi europei avete creduto all'esistenza di un'élite buona"

Il docente di studi mediorientali a Berlino Alì Fatullah-Nejad: "A Teheran interessa solo il predominio sull'area"

"Voi europei avete creduto all'esistenza di un'élite buona"

«Siamo di fronte alla protesta più vasta e politicizzata affrontata dal regime khomeinista. Quella del 2009 guidata dal Movimento Verde era più moderata e si rivolgeva solo contro i conservatori. Oggi i dimostranti contestano l'intero sistema. Questo non è mai successo prima». A dar retta al professor iraniano Alì Fatullah-Nejad, 36enne ricercatore della Brookings Institution e docente al centro di studi mediorientali della Freie Universität di Berlino, l'attuale ondata di proteste è una delle prime a mettere in discussione il regime khomeinista. Ma rischia di fare i conti con la sua ben oliata macchina repressiva. «La sua principale debolezza spiega a Il Giornale - è la mancanza di organizzazione e di coordinamento e rischia di venir facilmente repressa».

Ma chi la guida?

«Non esistono veri leader. Anche per questo è diversa dal passato. I protagonisti sono i disoccupati, i giovani senza speranza e i lavoratori in difficoltà economiche. A questi si sono uniti vasti settori della classe media che lamentano un progressivo impoverimento e pretendono i fondamentali diritti politici. E ora contribuiscono anche gli studenti di Teheran».

A differenza del 2009 la protesta non riempie le piazze di Teheran

«A Teheran i numeri sono più contenuti a causa della pesantissima repressione, ma la protesta nel suo insieme è molto più vasta. Mashaad, dov'è iniziato tutto, è la seconda città del Paese. Uno dei problemi del Movimento Verde fu quello di fermarsi ai confini della capitale. Inoltre non affrontò la questione sociale e non seppe coinvolgere i lavoratori iraniani ridotti sotto la soglia della povertà. Oggi a guidare la protesta ci sono gli iraniani ignorati dai contestatori sconfitti del 2009».

Quindi l'onda riformista e la presidenza di Hassan Rohani hanno fallito?

«Sì. Ma era un fallimento prevedibile. La rivitalizzazione degli scambi internazionali favorita dalla rimozione delle sanzioni dopo l'accordo sul nucleare non ha garantito benefici al cittadino medio iraniano. Se in Italia e in Europa vi foste degnati di osservare la realtà senza filtrarla attraverso le lenti degli interessi economici vi sareste accorti che sui social media la gente considerava i programmi di Rohani inadeguati a risolvere i suoi problemi».

Dai social alla protesta in piazza ce ne passa

«La gente è scesa in piazza quando ha capito che con Rohani svaniva anche l'ultima speranza. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la legge di bilancio di due settimane fa. Con quella legge Rohani, dopo aver contribuito a inasprire povertà e sperequazioni salariali, ha nuovamente accontentato le élite conservatrici e riformiste concedendo ingenti fondi a fondazioni religiose e Guardiani della Rivoluzione. La mancata introduzione di ammortizzatori sociali ha innescato prima le critiche sui social media e subito dopo le dimostrazioni di piazza».

Accusa di miopia i governi europei?

«Vi siete autoconvinti che in Iran esista l'élite buona dei riformatori e quella cattiva dei conservatori. E che tra le due corrano grandi differenze. Ma sono figlie dello stesso sistema e gli interessi comuni superano le diversità. Gli iraniani lo sanno bene. Dietro le apparenti differenze si nasconde la comune origine di un sistema corrotto. E sono stufi di scegliere tra il male e il peggio».

La gente grida «No Siria, no Gaza». Che significa?

«Per molto tempo gli iraniani hanno creduto a un regime che sosteneva di combattere il terrorismo dell'Isis. Da due anni hanno capito che era solo propaganda, che Teheran è più interessata al predominio nella regione che non alla soluzione dei loro problemi. Il sostegno al regime di Assad è costato più di dieci miliardi di dollari. L'urlo delle piazze significa semplicemente lasciate la Siria e pensate a noi».

Per Khamenei dietro la protesta ci sono i nemici esterni

«Non appena qualcosa va storto dittatori e autocrati scaricano la responsabilità sui nemici stranieri.

In verità ad alimentare la protesta bastano le deficienze organiche e strutturali del regime».

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