Politica

Volevano lo stipendio, li ammazza

L'imprenditore marchigiano si difende: i due operai kosovari mi hanno minacciato con un piccone

C'è uno spread anche nella morte. Nel come, nel perché, nel dolore e nella rabbia. Nella disperazione per ciò che avrebbe potuto essere e quello che, invece, è stato.

Questa è la storia di un duplice omicidio, di due giovani uccisi. Erano operai, a sparargli l'ex datore di lavoro. Ma questa è soprattutto una storia di oggi.

In quanti modi può ammazzare la crisi? Il vuoto, la rabbia per un presente che non lascia intravedere futuro, se non quello prossimo, del giorno per giorno? Della sopravvivenza a tutti i costi. C'è chi si impicca per debiti. C'è poi chi ammazza. Persino difficile distinguere vittime e carnefici in quest'arena ferina che è diventato il vivere quotidiano.

Raccontiamo così di due corpi stesi sull'erba di un'elegante villetta, che un grande cancello dovrebbe proteggere dal resto del mondo. Un piccolo mondo qui a Molino Girola, contrada in provincia di Fermo, nella Marche, territorio dove tra campi coltivati e altri dimenticati sorgono aziende e capannoni manifatturieri un tempo ricchi. Le due vittime avevano ventisei e trentotto anni, si chiamavano Mustafa Neomedim Avdyli Valdet, erano arrivati dal Kosovo per guadagnarsi il pane. Lo avevano anche trovato un lavoro. Facevano i muratori, se necessario gli imbianchini o gli elettricisti. Regolari, con tanto di busta paga. Li aveva assunti proprio l'uomo che ieri li ha uccisi. Tutto per una questione di soldi, sembra, per qualche stipendio non pagato. Gianluca Ciferri, 48 anni, sposato e padre di tre figli, titolare di una piccolissima azienda di movimento terra, anche lui travolto dal lavoro che non c'è più, in estate era stato costretto a licenziarli. I due però sostenevano di vantare qualche credito. Per questo Mustafa e Avdyli si erano rivolti al giudice per ottenere il «dovuto». Anche ai sindacati. «Le richieste dei due lavoratori erano state diverse, reiterate e non ascoltate. Rivendicavano mensilità arretrate, un problema comune a molte piccole aziende edili, mentre la crisi sta sconquassando la tenuta sociale dei territori», commenta ora, amaro, il segretario provinciale della Cgil Maurizio Di Cosmo. «Ormai non avevano nemmeno più neanche quei pochi spiccioli che servono per mangiare».

Ieri, prima della giustizia una calibro 38 ha chiuso i conti. Nel peggiore dei modi. Adesso toccherà a una corte d'Assise stabilire dove cominci e quando finisca il diritto alla difesa. Nel frattempo il piccolo imprenditore, che giura di aver sparato solo per difendersi, dopo un lungo interrogatorio è stato arrestato. Stando alla sua versione, Mustafa Neomedim e Avdyli Valdet, si sono presentati nel suo giardino armati di piccone. Pretendevano il denaro, lo avrebbero minacciato e di fronte al «no» sarebbe nata una rissa, con lui costretto a fuggire in garage per afferrare il revolver, arma regolarmente denunciata. A questo punto gli spari. Cinque, sei colpi, due di certo a segno. Micidiali. Uno degli operai è morto all'istante, l'altro ha cercato di fuggire, ma si è accasciato poche decine di metri dopo. Agonizzante in un campo di girasoli. I soccorsi li ha chiamati lo stesso sparatore. Un'ambulanza ha fatto appena in tempo a trasportare il ferito in ospedale. Inutile, è arrivato ormai cadavere. Poi la macabra trafila di rito. Gli esperti della scientifica dei carabinieri a marchiare sangue e armi, a raccogliere reperti, a interrogare. Dalla loro caserma Ciferri è uscito parecchie ore dopo.

Su un'auto diretta in carcere.

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