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Voucher, sì al referendum Il governo insegue la Cgil

L'esecutivo si affretta per una legge di modifica che scongiuri l'alleanza di sinistra e M5S alle urne

Voucher, sì al referendum Il governo insegue la Cgil

Poi è chiaro che alla fine si balla. Quando spengono le luci, tacciono le voci e nel buio senti sussurrar.

«Questo dei voucher è un altro degli errori fatti da Renzi, che con il ministro Poletti non ha mai voluto cogliere i segnali d'allarme...», constata Francesco Boccia, che è presidente della commissione Bilancio della Camera di origini paleo-democristiane, eppure diventato pericoloso «sovversivo» da quando si oppose ai capatàz di Renzi ed è diventato il primo dei sostenitori di Emiliano. Il governo Gentiloni sfodera finalmente il 28 maggio come data del referendum che propone di abrogare due dei provvedimenti più contestati di quelli contenuti nel Jobs Act, voucher e responsabilità negli appalti, ed è facile immaginare che pensa di poter arrivare nel frattempo a una legge in grado di scongiurare quello che si preannuncia come il secondo pronunciamento popolare su Renzi e le sue politiche. Alla Camera il comitato ristretto della commissione Lavoro proprio ieri ha annunciato il varo di un testo che dovrebbe essere licenziato domani (oggi alle 16 scade il termine per la presentazione degli emendamenti). «È ancora possibile evitare il referendum», spera il presidente di commissione, Cesare Damiano (Pd). E così fan tutti (o quasi), da Bersani alla Meloni. Eppure, nonostante l'accelerazione sui tempi che concede ottimismo all'esecutivo, non è detto che la partita sia ormai nelle mani di chi vuole evitare la nuova conta. Anche perché il traguardo di un altro (forse definitivo) tonfo per l'ex leader spaccatutto comincia a ingolosire il fronte variegato degli oppositori. Così, alla Cgil che ha promosso i referendum e che con la Camusso ha già fatto sapere che le modifiche alle norme non sono di suo gradimento, si sono aggiunti in un batter d'occhio il fronte compatto delle Sinistre (per una volta, dal comunista Ferrero al bocconiano Fassina; dal vendoliano Fratoianni al bersaniano Speranza); il M5S di Grillo; i sovranisti fino al governatore veneto Zaia; i sindacati non del tutto filo-governativi come la Cisl (leggi: Uil e Ugl). Tutti compatti ad accogliere la data con sollievo, aggiungendo una postilla di non poco conto, avanzata per prima dalla Camusso. «Facciamo un election day: non per calcolo politico, bensì per una scelta oculata di finanza pubblica, che consentirebbe un risparmio di circa 300 milioni di euro, che non è poca cosa di questi tempi». Il quorum non è in pericolo, sostiene la Cgil, e i Comuni al voto in primavera «non sono tantissimi». La proposta riscuote un plauso talmente unanime, da far vacillare le prime certezze governative.

Ma c'è di più. La fermezza della Cgil, sulla quale si attestano gli scissionisti ex-pidini, provoca immediate ripercussioni all'interno della maggioranza, dove i centristi (con Lupi e Sacconi) fanno sapere di non voler sottostare ai «ricatti della Cgil»: dunque evitare il referendum sì, ma «non ad ogni costo». Dulcis in fundo, la tegola dei voucher precipita sulla battaglia delle primarie del Pd. Emiliano, già firmatario, conferma il suo convinto sì a entrambi i quesiti e appoggia in pieno la proposta dell'election day. «Le norme sul lavoro vanno azzerate e riscritte da capo, col contributo delle parti sociali. Farsi dettare le ricette sulla scuola e sul lavoro dai poteri esterni non va bene», infierisce la propaganda del governatore. Che sarà pure spiccia e facile quanto si vuole, ma sembra un invito a far ballare Gentiloni, Renzi e compagnia cantante.

E vuoi vedere che magari ci scappa pure il casqué.

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