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Wall Street salvata dalla "Repubblica di Apple"

La Mela si è mossa come uno Stato e così ha arginato il panico degli investitori

Wall Street salvata dalla "Repubblica di Apple"

Non sempre è salutare addentare una mela. Specie se la mela in questione è sua maestà Apple, che dall'alto dei suoi 615 miliardi di dollari - appena un po' meno del Pil svizzero, tanto per far comparazioni - ha in mano le chiavi di Wall Street. Se il gruppo di Cupertino prende il raffreddore, New York si becca la polmonite. Un po' il rischio corso dal mercato lunedì scorso, quando in apertura i titoli della creatura di Steve Jobs cedevano il 13% e un paio d'ore dopo guadagnavano il 3 per cento. Un'escursione folle, ma giustificata dalla mail con cui l'ad di Apple, Tim Cook, rassicurava il canale tv Cnbc sull'accelerazione delle vendite in Cina nelle ultime settimane del colosso hi tech. Come è evidente dal balzo delle azioni, si è trattato di un'informazione altamente price sensitive. Ovvero, in grado di cambiare drasticamente l'umore degli investitori: nel già assai capiente serbatoio Apple sono finiti altri 87 miliardi di ricchezza borsistica, e Wall Street è stata strappata dall'inferno in cui era piombata (-6% dopo i primi scambi).

Il caso impone un paio di riflessioni. La prima è che appare quantomeno sospetto il timing scelto da Cook per rassicurare il mercato sull'andamento del business cinese, il primo mercato mondiale degli smartphone (30% del totale), ma che nel secondo trimestre ha sofferto un calo delle vendite pari al 4 per cento. Tanto più che, solitamente, Cupertino non è così solerte e prodiga di informazioni. Per esempio, sul giro d'affari dell'Apple Watch è stato fatto calare il buio totale. Quando però è il caso di mettere una pezza, si interviene sollecitamente, magari anche per impedire che proprio la Svizzera, che ha la pancia piena di azioni Apple (1,2 miliardi di pezzi), pigi sul bottone sell , vendere.

Punto secondo. Da tempo, ogni informazione con potenziali ricadute sui prezzi di Borsa (tipo le trimestrali, oppure fusioni e acquisizioni) viene data a mercati chiusi. Si tratta di una regola di buon senso e in nome della trasparenza con cui le autorità di Vigilanza hanno voluto evitare possibili alterazioni nelle quotazioni. Dall'ottobre del 2000, dopo lo scoppio della bolla dot com, negli Stati Uniti è stata introdotta la Fair Disclosure , la norma che impone alle società di rendere note le informazioni price sensitive al pubblico nello stesso momento in cui vengono messe a disposizione degli analisti, così da evitare asimmetrie informative. È vero: Cook ha risposto alla domanda di un giornalista, cosa che non è impedita dalla Fair Disclosure. Ma con la bufera che scuoteva i mercati non era meglio stare zitti per evitare ogni tipo di speculazione? Una domanda alla quale, finora, la Sec (la Consob Usa) non ha dato risposta.

Meglio non addentare la Mela.

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