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Zingaretti: cambio tutto il Pd. E poi s'incarta sulle poltrone

Il neo segretario promette: «Voglio un partito plurale» Ma è subito stallo sui componenti della Direzione

Zingaretti: cambio tutto il Pd. E poi s'incarta sulle poltrone

L'era Zingaretti inizia con il segretario appena eletto che dal palco spiega che «serve un nuovo Pd» e «deve cambiare tutto», e con i capicorrente che dietro le quinte si azzuffano per i posti in Direzione. Tanto che l'ex premier Paolo Gentiloni, eletto ieri presidente del Pd a larghissima maggioranza, chiede una «pausa tecnica» dei lavori perché non gli arrivano le liste per la Direzione su cui l'Assemblea nazionale, riunita ieri all'Ergife di Roma, è chiamata a votare. La sala protesta, lui allarga le braccia: «Se volete posso inventare la lista, molti dei nomi li azzeccherei», scherza.

Alla fine la quadra si trova e gli organismi vengono varati. Zingaretti, forte di una maggioranza molto ampia (alle primarie ha raccolto il 66% dei voti) non vuol fare l'asso pigliatutto e lascia spazio alle minoranze: «Bisogna passare dall'io al voi, voglio un partito inclusivo e pluralista, in cui valorizzare tutti e senza mai fare la caricatura di quelli che la pensano diversamente, di cui sono pronto a riconoscere le ragioni, anche quando non le condivido», ripete. Il suo obiettivo è distinguersi quanto più possibile dall'ingombrante predecessore Matteo Renzi nei modi, nell'immagine, nell'organizzazione da dare al partito e alle eventuali alleanze. Senza però alcuna cesura brusca sui contenuti e sui posizionamenti: «Da testimone oculare degli ultimi anni politici, non ho alcun dubbio che si debba essere contenti e orgogliosi dei nostri governi. Ci vuole innovazione, certo, ma senza l'ossessione di distruggere il passato».

E Renzi accoglie il ramoscello d'ulivo e mostra di non aver alcuna intenzione di rovinare la luna di miele del suo successore: una benevolenza simboleggiata dal bacio in favor di telecamera che Maria Elena Boschi va ad apporre sulle guance del nuovo leader. Renzi è assente dall'Assemblea, ma si è premurato di far sapere per tempo che non di assenza politica si tratta, ma dettata da «motivi di famiglia». E al neo segretario manda la sua benedizione: «Oggi Nicola inizia il suo lavoro. L'Italia si aspetta dal Pd una risposta allo sfascio di Salvini e Di Maio, non più polemiche interne: buon lavoro».

Il fronte renziano però si divide: la Boschi, con Luca Lotti, Lorenzo Guerini e molti altri, annunciano il loro voto favorevole al presidente proposto da Zingaretti, ossia Paolo Gentiloni. Mentre Roberto Giachetti, candidato orgogliosamente renzista alle primarie, schiera i suoi sul fronte dell'astensione: «Paolo è un amico e un fratello. Ma al congresso si è schierato apertamente con Zingaretti. Dalla minoranza non riterrei coerente votarlo». Alla fine, gli astenuti saranno 86. «Renzi come sempre è un brillante manovratore - dice un dirigente zingarettiano appena entrato in Direzione - ha disposto i suoi su entrambi i fronti, così finché Zingaretti si comporta bene la Boschi lo bacia, ma quando si aprisse un contrasto i duri e puri di Giachetti saranno pronti alla tenzone». Del resto alle viste ci sono le elezioni europee, e le liste da comporre su cui il segretario avrà l'ultima parola: fino ad allora i renziani che erano schierati con Maurizio Martina tratteranno.

Zingaretti annuncia opposizione dura ad un governo «che sta bloccando e facendo decadere il paese», e propone alle altre opposizioni un «coordinamento parlamentare». Chiama l'ovazione denunciando il convegno oscurantista di Verona contro i diritti civili. Strizza l'occhio alla sinistra e ai suoi storici serbatoi promettendo «lotta alle disuguaglianze» e soldi su sanità e scuola, e naturalmente politiche molto «green».

E una ancor più idealistica lotta interna al «correntismo esasperato».

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