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Zingaretti alla finestra E il Pd resta ostaggio dei senatori renziani

Non tutti sono per l'accordo coi grillini E il segretario non molla l'idea del voto

Zingaretti alla finestra E il Pd resta ostaggio dei senatori renziani

Il Pd cerca l'unità. Ma arriva spaccato alla giornata chiave di domani. Quando il presidente del Consiglio Giuseppe Conte alle ore 15 parlerà nell'Aula del Senato, aprendo ufficialmente la crisi politica. Nel passaggio a Palazzo Madama non ci sarà un voto sulla mozione di sfiducia presentata dalla Lega contro il governo.

E questo è già un piccolo aiuto per il segretario Nicola Zingaretti che non dovrà assumere una posizione ufficiale rispetto al premier grillino. L'unica votazione potrebbe riguardare le risoluzioni. Ed è sulla risoluzione del Pd che in queste ore si ragiona per trovare una linea compatta. Operazione difficile, perché al momento le opzioni sul tavolo di Zingaretti sono tre. I renziani, che sono la maggioranza nei gruppi parlamentari, vogliono un governo istituzionale: durata breve, accordo su due-tre punti con il Movimento cinque stelle e poi ognuno per la propria strada. Parte dell'attuale gruppo dirigente del Pd, da Goffredo Bettini a Maurizio Martina, è favorevole a un accordo politico fino al 2023 con il M5S. Anche ieri Martina non ha escluso la strada di un patto con i grillini: «Siamo pronti a ogni scenario». Ma gli zingarettiani sono a loro volta spaccati all'interno in due fazioni: c'è chi vorrebbe mettere dei paletti a un'eventuale intesa politica con i Cinque stelle (veto sui ministri uscenti, compreso Di Maio) e chi invece sarebbe disponibile a un accordo in bianco. Il senatore Antonio Misiani, fedelissimo del segretario dem, a Il Giornale fa chiarezza: «Siamo contro accordicchi fatti solo per rinviare le elezioni. L'unica alternativa al voto è un patto di legislatura e di alto profilo, se emergeranno le condizioni dalle consultazioni».

C'è poi la terza posizione, inizialmente sostenuta dallo stesso Zingaretti, che esclude accordi di qualsiasi natura con i grillini e spinge per il voto in autunno. A difendere il fronte del voto subito sono rimasti solo Carlo Calenda e il vicesegretario Paola De Micheli. Ieri si è defilato anche l'ex presidente del Consiglio Paolo Gentiloni: «Mi accontento di poco. Vorrei che questo governo andasse a casa. martedì», ha scritto su Twitter. E Calenda non ha perso occasione per accendere la polemica: «Dopo la presa di posizione di Prodi e il defilamento di Gentiloni direi che oramai la maggioranza a favore del governo con i Cinquestelle è prossima all'unanimità. Le ragioni della mia contrarietà le ho esposte. Continuare la battaglia non ha più senso. Attenderò gli eventi».

La definitiva chiusura dei Cinquestelle, dopo il vertice dei big con Beppe Grillo, a Matteo Salvini aumenta i tormenti di Zingaretti. Il segretario vorrebbe andare a elezioni anticipate ma è ostaggio dei gruppi parlamentari vicini a Renzi. E dunque vuole evitare una conta (delegittimazione pubblica). Ora è alle prese con la risoluzione da presentare a firma Pd in Senato. A oggi prevale la linea attendista: aspettare le mosse di Conte e puntare su una risoluzione che racchiuda un appello alla responsabilità e alla difesa dei conti e delle Istituzioni. Anche se c'è chi vuole che Il Pd già domani si lanci tra le braccia dei Cinquestelle, aprendo, nel passaggio in Senato, a un governo politico Pd-M5S. Ma le incognite sono ancora tante. A cominciare da chi occuperà la poltrona a Palazzo Chigi in un esecutivo dem-grillini. Un Conte bis? Mario Draghi? O addirittura Luigi Di Maio? Zingaretti non vuole sbilanciarsi e vendere così il Pd alla prima offerta.

Anche perché l'opzione del voto anticipato resta sul tavolo.

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