Letteratura

"Quel povero Casale" che ispirò don Lisander

Nel capitolo 34 di I promessi sposi, Renzo, saltato sul carro dei monatti, assiste a una "canzonaccia" mista al suono dei campanelli del "turpe coro"

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Nel capitolo 34 di I promessi sposi, Renzo, saltato sul carro dei monatti, assiste a una «canzonaccia» mista al suono dei campanelli del «turpe coro» per poi notare, all'ingresso del lazzaretto, la voce di un appestato levarsi con una inconsueta «canzone contadinesca d'amore gaio e scherzevole». È una delle rare volte in cui Manzoni ricorre alla musica quale efficace colonna sonora della scena: come quando, nel capitolo 5, per descrivere l'animosa conversazione tra i convitati al tavolo di Don Rodrigo, lo scrittore li paragona ai suonatori di strada che accordano il loro strumento «facendolo stridere quanto più può, alfine di sentirlo distintamente, in mezzo al rumore degli altri»; o, ancora, come nel capitolo 36, quando i guariti dalla peste cantano, in processione, il Miserere col «suono fiacco» delle loro voci.

Manzoni, però, al di là di piccoli inserimenti nel romanzo, non trattò mai nei suoi scritti di musica. Eppure, secondo la testimonianza di Tommaso Grossi nella sua casa non era insolito l'allestimento di «accademiole» con esecuzioni spesso organizzate da Benedetto Neri, l'allora maestro di cappella del Duomo di Milano. La notizia fornita da Grossi è preziosa perché riporta alla luce una particolare amicizia di Manzoni: quella con Giovanni Arcangelo Gambarana, compositore piemontese finito, nel 1819, al centro della bufera tra classicisti e romantici durante la sua attività a Milano a causa dei tre autori del libretto della sua Marsia (i misteriosi e agguerriti antiromantici «X. Y. Z.») che fu un fiasco tale da spingerlo a rifugiarsi nella sua Casale Monferrato. Gambarana, dopo aver musicato La Pentecoste e Il cinque maggio, strinse un intenso legame con Manzoni il quale, parola dell'amicissimo Grossi, nutriva per il musicista «una verace stima, ed una particolare attenzione».

Quando Manzoni seppe dei problemi di salute di Gambarana, il 15 aprile 1826 gli riservò parole di vicinanza analoghe al provvidenziale messaggio che sta alla base dei Promessi sposi: «La ringrazio con quel rispetto che debbo della confidenza con cui Ella mi parla delle afflizioni che mettono continuamente alla prova il suo animo, direi degno di tutt'altra sorte, se non dovessi ricordarmi che la nostra sorte è in mano di quella Sapienza che permette le afflizioni a quelli che vuol perfezionare e premiare». Dopo la morte di Gambarana, avvenuta nell'agosto 1831, Manzoni volle scrivere alla vedova per ribadire, ancora una volta, «in che alto conto io tenessi il cuore e l'ingegno di quell'uomo, e quanto riverita e cara mi sia la sua memoria».

Quello con Gambarana non fu, in realtà, l'unico legame tra Manzoni e il Monferrato. In «Quel povero Casale». Alessandro Manzoni tra letteratura, storia e musica (Edizioni Remedios, pagg.

230, euro 18), volume patrocinato dal Centro Nazionale di Studi Manzoniani, viene analizzata la presenza dell'assedio secentesco di Casale Monferrato alla base del capitolo 27 dei Promessi sposi: il professor Pierantonio Frare, manzonista e docente in Cattolica, giunge a concludere che la città monferrina costituisce una sorta di «personaggio» con un ruolo ben definito all'interno dell'architettura del romanzo.

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