Politica

Il premier cala l'asso: Ruby era maggiorenne

Il presidente del Consiglio: "Abbiamo la prova che Kharima è stata registrata all’anagrafe marocchina due anni dopo la nascita e la presenteremo ai giudici durante il processo". E quindi si dimostrerebbe che quando Ruby ha messo piede per la prima volta ad Arcore era già maggiorenne

Il premier cala l'asso: Ruby era maggiorenne

Roma - La premessa è quella di sempre. Perché, ripete Silvio Berlusconi in privato, «sono innocente e vedrete che alla fine sarò assolto». D’altra parte, stupisce il suo interlocutore il Cavaliere, «abbiamo la prova che Ruby è stata registra all’anagrafe marocchina due anni dopo la sua nascita». «Una prova – aggiunge – che presenteremo durante il processo». Insomma, è il ragionamento del premier, «anche a credere alle accuse inverosimili della procura di Milano non ci sarebbe alcuna ipotesi di reato». Perché significherebbe che quando Ruby ha messo per la prima volta piede ad Arcore era già di fatto maggiorenne da tempo. Ed è anche per questa ragione che nelle sue chiacchierate private il capo del governo ostenta sicurezza e si dice sicuro che alla fine «ancora una volta si risolverà tutto in una bolla di sapone». Nonostante nel suo entourage ci sia chi predica prudenza, perché per quanto possano essere accurate le indagini difensive – che pare siano sbarcate anche dall’altra parte del Mediterraneo – c’è comunque da mettere in conto un’oggettiva difficoltà di reperire materiale e documentazione risalente a quasi venti anni fa in un Paese come il Marocco.

Di dubbi, però, Berlusconi non ne ha. O almeno questo dice nelle sue conversazioni private. Con la convinzione che l’unico obiettivo della magistratura sia quello di mettere in piedi «un vero e proprio processo mediatico» che ha come finalità «la mia uscita da Palazzo Chigi» e «non certo la mia condanna». Ed è proprio in questo senso che va la decisione di sollevare il conflitto d’attribuzione sulla competenza del tribunale di Milano attraverso la Camera e non via Palazzo Chigi. Già, perché nelle tante riunioni degli ultimi giorni a scartabellare codici e codicilli, i legali del premier si sarebbero di fatto convinti che il rischio che la Corte costituzionale rispedisca al mittente la richiesta di conflitto è altissimo. D’altra parte, non è certo un mistero cosa pensi Berlusconi dei giudici costituzionali. E se davvero le cose andassero così, passando per Montecitorio il Cavaliere potrebbe almeno vantare a suo favore il voto collegiale di un organo costituzionale. Una carta da giocare sul piano istituzionale ma anche su quello mediatico.

Ecco la ragione di una via – quella del conflitto di attribuzione attraverso la Camera – comunque in salita. Perché le frizioni con Gianfranco Fini sono note, ma anche perché l’ufficio di presidenza di Montecitorio che deve «filtrare» la richiesta vede il centrodestra in minoranza: 8 a 11 (9 a 11 dopo che il 9 marzo verrà eletto un altro segretario di presidenza in quota ai Responsabili). Non abbastanza, soprattutto considerando che un pareggio non sarebbe sufficiente. Senza contare che sullo sfondo resta il tira e molla con il presidente della Camera che ieri ha chiesto una consulenza della giunta per il regolamento (anche qui il centrodestra è in minoranza: 5 a 7) per capire se sia o no necessario il voto dell’aula. Secondo Fini, infatti, dovrebbe essere l’ufficio di presidenza a decidere, mentre per i capigruppo del Pdl la questione è competenza della Camera. Dove la maggioranza continua ad avere i numeri, tanto che ieri sul federalismo municipale ha incassato l’ennesima fiducia con 314 voti. Che, spiega il Cavaliere lasciando Montecitorio, «senza deputati in missione o malati è di 322». Ecco perché «sono tranquillissimo».
Un braccio di ferro in verità più formale che sostanziale. Visto che lo stesso Fini sa che da una conta nell’ufficio di presidenza – con il rischio di una spaccatura se l’Mpa dovesse decidere di astenersi – potrebbe uscirne malissimo. Perché la maggioranza – e ieri l’hanno fatto presente durante la riunione sia Fabrizio Cicchitto sia Gregorio Fontana – è convinta che sul punto la Costituzione sia chiara e non siano possibili deroghe. Ed è pronta ad alzare le barricate. In verità, lo stesso Berlusconi pensa che il presidente della Camera stia facendo solo ammuina.

«Sa che non può fare altrimenti, ma ce lo vuol far pesare per passarla come una gentile concessione», è il senso del suo ragionamento. Confermato da un esperto della materia come il pd Lanfranco Tenaglia che a Radio Radicale dice che «l’ufficio di presidenza non può evitare il passaggio in aula». E infatti l’ipotesi al momento più gettonata è che alla fine si pronunci la Camera tutta. Una delle ragioni, forse, per le quali il Cavaliere è tentato dal rinviare il rimpastino che avrebbe dovuto coinvolgere alcuni ministri e un viceministro. Fare nomine ora, infatti, rischia di lasciare uno strascico di delusi soprattutto fra i Responsabili. Avanti, invece, con la riforma della giustizia.

«La prossima settimana – spiega Alfano – potrebbe andare in Consiglio dei ministri».

Commenti