Politica

Il premier: nei caschi blu anche soldati musulmani

Prodi: me lo ha assicurato Annan. Ma Israele insiste: niente truppe di Paesi con cui non abbiamo relazioni. La Turchia decide oggi

Emiliano Farina

da Roma

Israele l’aveva detto e ridetto. «Non vogliamo Paesi islamici nel contingente Unifil che non ci riconoscono come Stato». Ieri il premier Romano Prodi ha invece confermato che i Paesi islamici faranno parte della forza internazionale. «Me lo ha confermato Kofi Annan (il segretario generale dell’Onu ndr) - ha spiegato il presidente del Consiglio -: il dialogo con i Paesi musulmani va avanti e c’è un accordo generale perché nel contingente ci siano anche caschi blu islamici».
Una divergenza che rischia di minare seriamente gli equilibri diplomatici che reggono la triade Italia-Onu-Israele. Per il momento, l’unico Paese di religione musulmana accettato da Gerusalemme è la Turchia che deciderà oggi sull’invio di soldati in Libano. «Se Ankara manderà un contingente lo accoglieremo favorevolmente», ha messo le mani avanti il ministero degli Esteri israeliano, «e l’invito non riguarda soltanto la Turchia ma anche altri Paesi».
Israele non ha compilato una lista ufficiale dei propri nemici ma è certo che tra gli «indesiderati» ci sono l’Indonesia, la Malesia e il Bangladesh, le cui relazioni diplomatiche con Gerusalemme sono inesistenti. In queste ore, proprio il governo di Giakarta sta insistendo per inviare circa mille uomini tra soldati e forze di polizia. «Il fatto di mandare le nostre truppe in Libano - spiegano dal ministero degli Esteri indonesiano - rappresenta un segnale positivo nei confronti dei musulmani radicali convinti che Israele sia un nemico da combattere. E con questo gesto non ci saranno più gruppi che vorranno andare a fare la jihad». Ma è proprio la «guerra santa» uno dei motivi per cui Israele chiede l’estromissione dalla forza Onu degli Stati considerati «nemici» e vicini alla Siria di Bashar Assad. Dall’Indonesia, il più grande Paese musulmano al mondo per popolazione, ai primi di agosto era arrivata la disponibilità a inviare a Hezbollah e Hamas un sostegno fatto di «forze e soldi». Il Consiglio dei mujaheddin aveva promesso una spedizione di «uomini pronti a morire da martiri», mentre quello degli Ulema, la più alta autorità musulmana, aveva organizzato una colletta tra i suoi fedeli per aiutare il partito di Dio ad acquistare armi.
Kofi Annan, intanto, prova a trovare una soluzione. «Siamo sensibili alle preoccupazioni di Gerusalemme e la domanda di truppe da inserire nel contingente è forte. In passato - precisa il segretario generale dell’Onu - alcuni di questi Stati hanno contribuito con uomini competenti e ben addestrati. Dispiegheremo le forze il Libano - assicura - in modo da non creare tensioni».
E mentre Prodi continua a gioire per il «ritrovato ruolo del Paese nella diplomazia internazionale» e le prime cinque navi italiane sono pronte a raggiungere le coste libanesi (la partenza è prevista per domani), i dubbi sulla sicurezza dei nostri soldati si fanno sempre più inquietanti. E arrivano dall’interno della stessa maggioranza. Daniele Capezzone (Rnp), li gira direttamente al titolare della Farnesina, Massimo D’Alema. «Due parlamentari hezbollah hanno sfacciatamente fatto intendere che non si faranno disarmare. È sempre più chiaro che iraniani e siriani continueranno a rifornire gli arsenali del Partito di dio. D’Alema che dice?».
Iacopo Venier (Pdci) si scaglia contro la posizione espressa da Piero Fassino sul Corriere. «Scopriamo con preoccupazione che il segretario dei Ds - dice - condivide con Berlusconi l’idea che dobbiamo andare in Libano per smantellare Hezbollah e cioè contro una componente essenziale della politica libanese». Franco Monaco (Ulivo), respinge in blocco le critiche della Casa delle libertà.

«Non siamo affatto compiaciuti del ruolo guida dell’Italia ma impressionati dalle voci scettiche o contrarie del centrodestra».

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