Economia

Prende per la gola Bertinotti e Berlusconi

Nata nel 1952, la società comincia a produrre i coni per i gelati

Quelle due-tre volte che Fausto Bertinotti va d'inverno con la moglie Lalla al Grand Hotel Terme Roseo di Bagno di Romagna, Giulio Babbi si fa trovare puntualmente con i suoi Viennesi. Ed è accolto dalla signora Lalla, che apprezza moltissimo questi wafer deliziosi coperti di cioccolato fondente, con un entusiastico: «Lei è il mio divo...». Roberto Benigni se li è invece portati a Hollywood quando è andato a ritirare l'Oscar per «La vita è bella» distribuendoli poi ad amici e conoscenti. E da allora Steven Spielberg se li fa spedire in California ogni anno per Natale. Sandro Pertini, che ne era golosissimo, li faceva ordinare anche quando era al Quirinale. Anzi, la prima volta Giulio Babbi aveva sbattuto giù il telefono in quanto credeva si trattasse di uno scherzo. Ma anche Giorgio Alimirante, Giovanni Spadolini, Giovanni Malagodi ne andavano pazzi. E li ordinano pure Giulio Andreotti e Silvio Berlusconi. Solo Romano Prodi preferisce starne alla larga.
Unici e irripetibili. Giulio Babbi, romagnolo di Cesena, imprenditore della seconda generazione, non è più un giovincello. È del 1928, quindi ha 76 anni. E vive da quasi mezzo secolo in mezzo a questi wafer quadrati che lui definisce, ripetendo una frase del padre Attilio, «unici e irripetibili». In quanto i Viennesi Babbi, nati nel 1958 con una ricetta che ha richiesto tre anni di continue messe a punto, sono brevettati. Brevettati? Già, sono formati da cialde friabili che racchiudono un impasto di crema di nocciola o di vaniglia con in più, chiarisce, «quello che c'è». Ma quello che c'è, aggiunge Babbi, «è un segreto che, dopo la scomparsa di mio padre, avvenuta nel 2003 quando gli mancavano cinque giorni per compiere i 98 anni, solo due persone conoscono: una sono io, l'altra è uno dei miei tre figli, Carlo». Non è invece segreto il motivo del nome dato a questi wafer. «Li abbiamo chiamati così - spiega Giulio - perché a inventarli è stato il pasticciere della regina Vittoria d'Inghilterra il quale era di Vienna».
Semilavorati per gelati. C'è anche un altro aspetto, se vogliamo, abbastanza curioso. Questi dolciumi, che hanno reso famoso il nome Babbi nel mondo, nascono in realtà per tamponare la mancanza di lavoro in alcuni mesi dell'anno di quella che è l'attività principale della famiglia Babbi: semilavorati di gelateria. E cioè tutto quello che serve ai gelatai, dalle basi in polvere alle paste in crema. Essendo legata al gelato, è quindi un'attività estiva che lascia però il problema di cosa fare durante l'inverno. E papà Attilio, un personaggio intraprendente e fantasioso al punto da avere inventato con due amici, un ingegnere dell'Arrigoni e un fabbro, la macchina che rende impermeabili gli interni dei coni di gelato, ha allora dovuto escogitare qualche alternativa. Tutte attività stagionali ma con risultati poco soddisfacenti, dai croccanti alla pasticceria. Fino a quando non ha trovato la soluzione giusta con i wafer. Che è non stata la conseguenza di un colpo di fortuna ma è arrivata solo dopo prove e riprove. A quel punto papà Attilio si è fatto furbo avendo imparato la lezione sulla propria pelle. Quale? Quella dei brevetti. Già, perché la macchina che ha reso impermeabili i coni bagnandoli con oli di cocco e di palma prima di coprirli con del cioccolato, non è stata brevettata. «Allora pensavamo solo a lavorare», dirà Giulio. E così la concorrenza ci ha messo rapidamente le mani sopra, facendo scomparire ogni vantaggio competitivo.
Il padre Attilio. Figlio unico, diplomato ragioniere al Renato Serra di Cesena, carattere che definisce l'opposto del padre in quanto lui è «più prudente e calcolatore», Giulio Babbi inizia a lavorare subito dopo la guerra ancor prima di avere terminato gli studi: la mattina va a scuola, nel pomeriggio lavora con il padre Attilio il quale ha già fatto mille mestieri, dal barista al falegname, prima di trasformarsi in rappresentante di dolciumi e liquori per la Romagna e dintorni. È un buon venditore, nel 1948 vince persino il primo premio messo in palio dall’Alemagna, 50mila lire che in quegli anni rappresentano lo stipendio di un mese, per avere venduto 125 quintali di panettone. Ma preferisce ancora di più produrre, tanto più che ha da sempre nel sangue i coni per il gelato. E nel 1952 apre a Cesena la Babbi dopo essere riuscito ad avere due macchine per fare i coni con l'impegno di pagarle alla fine della stagione estiva. La prima sede è in centro, in via Aldini, un piccolo magazzino preso in affitto. In tutto ci lavorano tre persone: papà Attilio che si occupa della produzione; il giovane Giulio che comincia ad andare in giro a vendere con un'Appia seconda serie percorrendo 90-100mila chilometri l'anno; Valeria Medri, anche lei ragioniera, che segue la contabilità ed è in quel periodo la fidanzata di Giulio. I due ragazzi si conoscono a scuola, sono anzi nella stessa classe, lui nel banco davanti e lei in quello di dietro. Nel 1955, l'anno in cui i due si sposano, anche l'azienda ha bisogno di cambiare sede avendo ormai più di 30 macchine per i coni. La scelta cade così su uno stabile in via Turchi a Madonna delle Rose prendendo due piccioni con una fava: casa e fabbrica sono collegate.
Le imitazioni. L'invenzione del cornetto è positiva ma ben presto imitata. E nel 1958 ecco i Viennesi che danno un'altra boccata d'ossigeno all'azienda grazie all'idea di avere non un prodotto di massa ma un prodotto di altissima qualità. Soprattutto danno alla Babbi, che nel 1990 trasferisce la sede in due stabilimenti ai piedi di Bertinoro, sulla vecchia via Emilia, una continuità di produzione per l'intero anno: da ottobre a marzo sono prodotti i wafer (che possono essere personalizzati nella confezione per catene alberghiere, aziende, enti), da marzo tutto ciò che occorre ai gelatai. Oggi la Babbi, che ha appena iniziato la costruzione di uno terzo stabilimento, dà lavoro a 64 persone con un fatturato di 9,5 milioni di euro. Il 70% è dovuto ai semilavorati di gelateria, il 20% alla linea dolciumi, il 10% alla linea del gelato confezionato per conto terzi. Ma il gelato Babbi, chiarisce Giulio, «non esiste e non esisterà mai». L'export, realizzato con i wafer, incide per il 20%: in Europa ma soprattutto in Giappone dove da tre anni sono stati aperti più di cinquantasei negozi monomarca chiamati Babbi Coffee Shop.
Mai una vacanza. Piccolo di statura, grande lavoratore al punto da non andare quasi mai in vacanza, da lavorare il sabato non disdegnando di stare al banco dello spaccio aziendale insieme ai venditori e da non fermarsi nemmeno la domenica girando per gli uffici, scrivania dopo scrivania, e lasciando osservazioni scritte sui vari tavoli, Giulio Babbi ha creato una forte rete vendita ed è da tempo affiancato dai tre figli. Tutti maschi. Pier Paolo, 1956, ingegnere elettronico, responsabile dell'organizzazione; Gianluigi, più semplicemente Gianni, 1958, laurea in economia e commercio con una specializzazione particolarissima in gelateria che solo in tre o quattro hanno in Italia, segue il marketing e il commerciale; Carlo Alberto, 1962, ragioniere e l'unico tra i fratelli a conoscere il segreto dei Viennesi, si occupa della produzione. Ed in azienda c'è anche la prima rappresentante della quarta generazione: Chiara, figlia di Pier Paolo. Spiega Giulio: «Non è stato ancora deciso nulla per la successione...».
Il grande sogno. Dei tre figli, quello più esuberante che in un certo senso ha lo stesso carattere di nonno Attilio, è Gianni, il secondo: ha dato una robusta spinta alla crescita dei semilavorati, vuole fare di Cesena la capitale italiana del gelato artigianale costituendo il consorzio nazionale dei produttori, politicamente dà un grosso appoggio a Forza Italia, è impegnato anche in altre iniziative imprenditoriali. È tra l'altro presidente della Edy, un'azienda fondata con Ottavio Pantani, un ristoratore, che produce tende per la Protezione civile, autosufficienti, montabili in un battibaleno in ogni luogo, dall'Iraq all'Afghanistan, e in dotazione della Croce Rossa. «È un ciclone, anche un po' troppo», dice di lui il padre Giulio che riconosce di avere una «famiglia unita» e proprio per questo forse non vuole fare scelte nette. Per ora ha in testa solo una novità: l'uscita dopo l'estate del gelato-pronto, un’iniziativa valida per ogni casa. Ma un’iniziativa in cui molti in passato hanno anche fallito.

«Noi invece ce la faremo», scommette Babbi.
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