Politica

Problema di cultura non di fede

Il sondaggio pubblicato la domenica di Pasqua dal Giornale tutto sommato non sembra devastante nei suoi risultati, dato che accerta una conoscenza sufficiente delle verità di fede da parte di quasi la metà dei battezzati. Essere battezzati ed essere cattolici praticanti non sono realtà consequenziali: se dunque solo un cinquanta per cento di chi è nato in una famiglia cattolica magari sessant’anni fa mantiene tuttora un passabile rapporto con la Chiesa e i suoi princìpi non c’è da strapparsi i capelli ma semmai da meditare seriamente sull’altra metà che se ne è allontanata (o che noi riteniamo forse a torto discosta dalla fede dei padri).
C’è una realtà involontariamente ambigua che deriva dal sondaggio: si conclude che gli italiani sono ignoranti in materia di religione. Sarà, ma viene prima una domanda che resta insoddisfatta: gli italiani sono ignoranti in tutto e per tutto o no? Se risulta che conoscono la grammatica, le tabelline e la geografia tanto quanto i principi della fede cattolica allora il discorso tira in ballo i canoni di trasmissione di fede e cultura, a scuola come all’oratorio. Se viceversa l'ignoranza risultasse marcatamente riferita alla sola religione, allora sarebbe la Chiesa a dover riflettere seriamente sulle sue strutture e su quasi ottant’anni di insegnamento concordatario malamente gestito. I numeri pubblicati non indicano molto di clamoroso ma sembrano semmai confermare in negativo l'interrogativo del Cristo stesso: «Il Figlio dell’Uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».
Diciamo pure che possiamo perfino consolarci confrontando i risultati del sondaggio pubblicato da Le Monde nel gennaio scorso sui cattolici francesi: il 51 per cento degli intervistati si dichiara cattolico (67 per cento nel 1994). Di questi solo l'8 per cento va a messa la domenica (37 per cento nel 1948, 25 per cento nel 1968 e 13 per cento nel 1988). Ma la bomba è sulle verità di fede: solo il 52 per cento dei cattolici francesi ritiene certa o probabile l'esistenza di Dio, mentre solamente quattro gatti (il 18 per cento) credono in un «Dio personale», contro il 79 per cento che lo identifica con una vaga forma di forza, energia o spirito.
Forse immemori dell’aut aut di Paolo di Tarso («Se Cristo non fosse risorto la vostra fede sarebbe vana») ci sono 42 «cattolici» (a questo punto le virgolette si impongono) francesi su cento che ritengono la resurrezione di Gesù una favola della nonna, mentre solo il 38 per cento di loro crede alla verginità di Maria. In compenso il 64 per cento crede ai miracoli e ben il 74 per cento alla vita eterna. Percentuali bulgare a favore del matrimonio dei preti e dell’ordinazione presbiterale delle donne (intorno all’80 per cento). Come si vede nei dipartimenti della prima figlia della Chiesa il quadro della realtà religiosa è ben più devastante. Sarebbe forse interessante prendere esattamente le stesse domande poste da Le Monde e girarle ai cattolici italiani, così da attingere conclusioni più solide da una analisi comparata.
Chi scrive ricorda piacevolmente il nitido catechismo di san Pio X, poche domande e risposte da imparare a memoria per avere ben scolpiti nella mente i paletti della fede cristiana. E ricorda con altrettanto favore un docente-mastino dell'Università Cattolica che apriva il primo dei quattro corsi di Esposizione della dottrina e della morale cattolica con un ruvido asserto: non mi frega niente che crediate o no, esigo solo che voi conosciate esattamente cosa la Chiesa insegna. Ma cosa la Chiesa cattolica insegni non è facile oggi capirlo nelle omelie domenicali, tutto un dilagare di melassa all’insegna del «volemose bbene». Eppure si potrebbe ogni volta in cinque minuti, non di più, proporre ai fedeli un principio di fede legato al Vangelo della domenica: non sembra un’impresa impossibile.
Anche il più renitente dei laici non può negare che la storia dell’Occidente (e non solo) è illeggibile senza la chiave di volta della dottrina cristiana, così come separare ad esempio la storia della Palestina da quella dell’Ebraismo e dell’Islam è un non senso. Dunque confinare l’insegnamento della religione in scampoli di orario scolastico (solitamente utilizzati poi per fare altro) è una vera e propria ingiuria alla Cultura prima che alla Religione. Anche l’ignoranza in materia ostentata da un laico è scandalosa.

Purtroppo i risultati sono quelli che sono, perfino consolanti rispetto a quelli che ci attendono negli anni a venire.
Antonio Belotti

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