Cronaca giudiziaria

La psicologa del caso Pifferi tace, ma scrive al pm: "Sono innocente"

«Non lavorerò più nelle carceri». Solidarietà dell'Ordine lombardo

La psicologa del caso Pifferi tace, ma scrive al pm: "Sono innocente"

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«Sono innocente. E umiliata». Sono parole messe per iscritto quelle di Paola G., la psicologa di Alessia Pifferi, la donna a processo per aver lasciato morire di stenti la figlia Diana di 18 mesi. La professionista, 58 anni, è indagata assieme ad una collega per falso e favoreggiamento, perché, secondo l'accusa, avrebbe aiutato Alessia Pifferi, falsificando alcuni atti tra cui un test psicodiagnostico al fine di ottenere una perizia psichiatrica. Ieri, durante l'interrogatorio davanti al pm Francesco De Tommasi, la psicologa di 58 anni, si è avvalsa della facoltà di non rispondere. A parlare per lei è il suo avvocato, Mirko Mazzali che mostra la richiesta della sua assistita. «Vivo con angoscia e stupore quello che mi sta accadendo. Sono affranta e basita. Sono riusciti a spaventarmi e umiliarmi per motivi che fatico a comprendere» ha scritto la psicologa che per 30 anni ha lavorato nelle carceri. Nella stessa lettera la professionista si rivolge ai vertici dell'ospedale San Paolo e dell'Asst chiedendo di trovare per lei «una alternativa» perché non desidera più «lavorare all'interno di qualsiasi penitenziario». La psicologa indagata ripercorre la perquisizione a suo carico avvenuta nei giorni scorsi, «le indagini hanno coinvolto anche la mia famiglia».

E ancora: «Credo che la verità verrà a galla insieme alla mia totale innocenza e buonafede perchè credo che la magistratura farà un lavoro serio e secondo i principi costituzionali di giustizia. Sono innocente su tutta la linea. Il mio sentimento però è di fortissimo dolore e annientamento. Ora ho solo una certezza, di non volere mai più lavorare in un qualsiasi istituto penitenziario». La lettera è stata depositata al pm Francesco De Tommasi. Secondo De Tommasi «sarebbe stato attestato "falsamente" che Alessia Pifferi aveva un quoziente intellettivo pari a 40 e quindi un deficit grave, con un test non utilizzabile a fini diagnostici». Per il pm le psicologhe avrebbero svolto «un'attività di consulenza difensiva, non rientrante nelle loro competenze». Sulla vicenda ha espresso preoccupazione il Consiglio dell'Ordine degli Psicologi lombardo: «Non entriamo nel merito poichè gli elementi sono ancora soggetti al segreto istruttorio.

Tuttavia, non possiamo esimerci dall'esprimere un sentimento di stupore e di preoccupazione».

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