Politica

Quando la notizia è «fit to print» solo se fa comodo

Caro Belpietro,
voglio bene a Silvio Sircana, so che i non colpevoli reagiscono peggio dei colpevoli alle accuse infami, lo so per esperienza personale molto dolorosa, anche ora che sono passati quattordici anni da quando fui a lungo sbattuta come un mostro in prima pagina. Eppure nelle reazioni violentissime contro il medium, invece che contro il fatto, mi pare di sentire più la puzza del grottesco che quella del tragico. Perciò, dopo attenta lettura e riflessione, dopo consultazione degli scandali di altri Paesi, amici e meno, rilettura delle intercettazioni graziosamente messe a disposizione dai magistrati negli ultimi anni, ma anche delle notizie doviziosamente rilasciate su chi viene «sentito» e perché, tutte naturalmente fit to print;
dopo studio a memoria del Primo emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti (lo sai che è la mia Bibbia), che fa divieto al Congresso di approvare leggi che restringano l'informazione, e delle sentenze della Corte Suprema «The New York Times contro Sullivan» e «Tavoulareas contro The Washington Post», che ribadiscono che gli uomini pubblici possono essere criticati, perfino se i fatti si rivelano poi inaccurati, purché il cronista non riveli sfrenata malafede;
dopo aver visto certe facce di circostanza in tv, tutto uno sdegno e un ripensamento sul senso del fare giornalismo (tranne quella, fantastica e sorridente, di Roberto Maroni);
dopo tutta questa fatica, ho capito che c'è un colpevole unico, e vorrei segnalarlo tanto ai dottori Woodcok e Iannuzzi, così finalmente ne avranno uno bell'e pronto, che ai loro colleghi di Milano; ma soprattutto al ministro Clemente Mastella, che in queste ore si chiede com'è che non sia stato possibile «velocizzare» il percorso della legge che vieta la diffusione di intercettazioni (peraltro solo quelle illegali, mentre le intercettazioni di Puttanopoli sono tutte autorizzate dal magistrato).
Il fango che da un frullatore all'altro ci ricopre, la caduta del nerbo e del senso morale, la sorte grama dei Dico e pure il rapimento di Daniele Mastrogiacomo, hanno un diabolico creatore unico: sei tu, Maurizio Belpietro. Si provveda a pubblico linciaggio, non solo verbale, e tutto tornerà come dev'essere.
A sostegno della mia convinzione, porto due esempi.
1) Il vicepresidente del Consiglio Francesco Rutelli esprime «disgusto per l'azione diffamatoria operata ai danni di Silvio Sircana». Rutelli aggiunge: «Quando si usa la stampa per tentare una lapidazione in pubblico, e lo si fa da parte di chi si riempie la bocca ogni giorno col garantismo, è motivo di profonda tristezza e preoccupazione».
Troppo giusto, infatti Rutelli si comportò allo stesso modo e reagì con lo stesso sdegno quando si trattò di infangare Vittorio Emanuele di Savoia, pubblicando intercettazioni che riguardavano la sua famiglia. O nel caso di Salvo Sottile, portavoce di Gianfranco Fini. Forse non andò così, la sollevazione non ci fu, e posso capirlo, Sottile era un uomo arrogante, salutava tutti con un «che cazzo vuoi», faceva sfoggio del potere peraltro preso in prestito, tutt'altro lo stile di Silvio Sircana, che anche da ragazzino era un gentiluomo.
Però, però il 22 febbraio scorso i presunti reati del perfido Sottile sono stati dichiarati inesistenti. Cito da editoriale de Il Riformista: «John Woodcock ha conseguito un altro insuccesso: l'archiviazione disposta a Roma per l'ex portavoce finiano Salvo Sottile, arrestato mesi fa con l'inedita accusa penale di concussione sessuale, cioè presunti favori in cambio di particolari attenzioni intime. La storia la sapete tutti e vede come protagonista-vittima anche la fidanzata di un noto manager dell'automobilismo, Elisabetta Gregoraci. Così dopo mesi e mesi di malizie, ironie e sospetti, ieri è arrivata la fine del calvario per Sottile: in piedi è rimasta solo l'accusa di peculato perché l'allora portavoce del ministro degli Esteri Fini fece accompagnare a casa la Gregoraci con una macchina blu della Farnesina».
2) Questo invece è un esempio di giornalismo che, come piace al New York Times, è fit to print, degno di essere stampato. Pubblicato da Europa, quotidiano pensoso della Margherita, senza firma, va dunque attribuito al suo direttore, Stefano Menichini. È un editoriale molto utile. Come minimo serve alla pubblica accusa nel caso contro di te. Ma potrebbe anche essere utilizzato da te medesimo, se mai scampassi all'esecuzione, per una sana querela; oppure, ma è un sogno, Silvio Sircana, ristabilito e rasserenato, potrebbe dire: grazie, questo tipo di solidarietà mi fa schifo, non ne ho bisogno. Ecco il pregiato testo (do you remember Manifesto?). «Il primo istinto sarebbe di dire che Maurizio Belpietro ci fa schifo. Decidiamo di seguirlo. Belpietro ci fa schifo. Speriamo per lui che non abbia mai rubato una merendina all'asilo, fatto l'occhiolino a una ragazza (poverina), gonfiato le ricevute di un taxi. Che la sua famiglia e i suoi figli siano immacolati, angelici, nulla di meno che trasparenti. Che i conti del giornale che immeritatamente e senza successo dirige siano perfetti, inappuntabili. Che non gli debba mai neanche per sbaglio ricapitare ciò che già gli è capitato con Telekom e Mitrokhin: gettare fango sugli avversari senza averne le prove, fidandosi di testi cialtroni e di cronisti approssimativi. Altro che “antipatico”, come simpaticamente si presenta in una trasmissione graziosamente inventata per rimpinguare la sua paga berlusconiana. Belpietro è una vergogna del giornalismo».
Come vedi, caro direttore, per te non c'è scampo.

Siccome ho il vezzo delle opinioni scomode, ti prego di accettare i sensi della mia comprensione, ma anche una bella tirata d'orecchio per aver fatto il tuo mestiere. Che cavolo!
Maria Giovanna Maglie

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