Politica

Quel rosario di vittime lungo tre ore

«Trentacinquemila euro non servono a nulla, neppure a curarsi, certo non cambiano la mia vita di una virgola, ho l’asbestosi da 20 anni e l’unica cosa che posso fare è sperare di morire il più tardi possibile». Così, dopo il verdetto, Pietro Condello, operaio Eternit dal 1966 al 1983. È la reazione a una sentenza storica di chi nella storia non avrebbe mai voluto entrare. Condello indossa la tuta blu dell’Eternit di Casale Monferrato che ha indossato, come in una sorta di rituale, in tutte le precendenti 66 udienze del processo. «Tanto - dice Condello - questa tuta io non me la dimenticherò mai. Nel mio reparto lavoravamo un tipo speciale di amianto blu che arrivava dall’estero e dicono che fosse tra i più pericolosi. Eravamo in 30 - conclude - siamo rimasti in due. Terribile. Oggi qui ho sentito tutti i nomi dei miei 28 colleghi morti». Nomi inseriti nell’elenco delle oltre 6.400 parti civili, prontamente definito dal politico di turno «rosario infinito», letto dal giudice, che ha anche rimproverato chi nel pubblico, dopo due ore e mezza aveva iniziato a bisbigliare e aveva ceduto alla stanchezza. «Dovreste fare la cortesia - ha detto per attutire l’impatto dell’ordine -, oltre che di stare in silenzio, di stare in piedi». Alzati i seduti e cessato il brusio, il magistrato ha ripreso la lettura della sentenza nell’atmosfera surreale della grande aula, nel caldo quasi asfissiante dell’aria viziata, nella commozione e nella spossatezza, sicuramente non solo fisica, delle vittime in vita e dei familiari dei morti che non hanno voluto mancare. Più che l’udienza finale di un processo, insomma, una commemorazione celebrata dal giudice al cospetto dei magistrati dell’accusa, i legali della difesa e delle parti civili, i sindaci con la fascia tricolore e il pubblico.
Nel pubblico anche Paolo Liedholm, 23enne nipote del grande calciatore e allenatore svedese Nils scomparso nel novembre del 2007. Pochi mesi prima della nuora Gabriella, la madre di Paolo, uccisa a 49 anni da un mesotelioma contratto con tutta probabilità trent’anni prima, quando da adolescente giocava a pallavolo in un campetto di Ronzone, vicino alla fabbrica Eternit di Casale: una zona che all’epoca era battuta dalla polvere killer. Paolo Liedholm ricorda che il nonno, che si era stabilito con la famiglia a pochi chilometri da Casale, a Cuccaro Monferrato, per occuparsi della sua tenuta vinicola, era profondamente turbato dalla vicenda dell’amianto. «Aveva una coscienza ambientalista - racconta Paolo - e non riusciva a concepire che un’intera città venisse avvelenata per il profitto».
E nel pubblico anche 160 delegazioni straniere delle parti lese giunte a Torino da tutto il mondo, che hanno seguito la lettura della sentenza nella traduzione simultanea in inglese e in francese.

Dal Nordest dell’Esagono, per esempio, sono tornati, dopo dodici ore di viaggio in pullman, i dipendenti di una miniera («che è chiusa nel 1999 - dicono - ma che continua a dare problemi, tanto che molti di noi sono malati di asbestosi» che erano venuti alla prima udienza del processo.

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