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Quelle cena da quattromila euro Quando lo chef diventa un marziano

Conto contestato da Cracco per colpa di una costosissima grattugiata di tartufo. Strategia: l'unica possibilità è abbassare i prezzi, chi non lo fa rischia grosso

Quelle cena da quattromila euro  
Quando lo chef diventa un marziano

Carlo Cracco è un uomo fortunato, vive su un altro pianeta. Noi terrestri siamo alle prese coi mutui, la crisi, la rata del condominio, il rischio licenziamento, il pediatra privato perché quello della mutua è un'incapace, il dentista, gli occhiali nuovi, le gomme da neve perché ci si mette anche la stagione, il conto della lavanderia, il riscaldamento, lui invece passa il tempo sulle sue stelle Michelin, serafico, ad affettar tartufi. E sì che nella galassia dell'alta cucina le cattive notizie finanziarie sono arrivate eccome.

Negli ultimi tempi c'è stata un'ecatombe di ristoranti raffinati: Antonello Colonna, il miglior cuoco laziale, ha chiuso il locale di Labico; il sofisticatissimo L'Altro Mastai di Roma ha spento tristemente i fornelli; il mitico Cesare Giaccone ha lasciato il suo angolo di paradiso langarolo per mettersi sotto l'ala protettiva di un grande gruppo; il Rododendro di Boves ha ammainato bandiera bianca; lo chef del Flipot di Torre Pellice si è trasformato in oste e l'Acero Rosso di Rimini è diventato una trattoria, nemmeno delle migliori. Poi ci sono quelli che mantengono l'insegna e le fiandre e i cristalli ma abbassano i prezzi: allo scaltro Arrigo Cipriani è bastato una rapida annusatina all'aria per calarli del 40%. Certo, il ristoratore veneziano partiva da livelli stratosferici: all'Harry's Bar per salutare il 2008 ci vollero mille euro mentre per il 2009 ne sono bastati seicento.

Ancora troppi, direte, ma meno dei seicentonovanta (4.140 euro in sei) che Cracco ha messo nel conto al malcapitato cliente del 13 dicembre scorso, un sabato come tanti, al termine di una cena nemmeno luculliana fatta di uova al tegamino e tagliolini. L'indiziato numero uno è il tartufo consumato in abbondanza, che però era appena calato drasticamente di prezzo, sia per l'abbondanza del raccolto sia per il clima generale che aveva già suggerito a tutti (a quasi tutti) di darsi una regolata. Come si spiega che lo stesso cliente, nello stesso ristorante, l'anno prima aveva speso meno della metà? L'unica motivazione plausibile è appunto che il cuoco supercreativo e supercaro abbia un domicilio mentale diverso da quello fisico: non via Victor Hugo a Milano, dove ha sede il ristorante, a pochi metri della Borsa che va male e delle grandi banche che vanno peggio, ma il famoso aproblematico «altro pianeta» dove ognuno di noi vorrebbe trasferirsi al più presto, qualora fosse possibile.

Sui giornali ho letto frasi di Cracco che mi hanno fatto venire in mente Maria Antonietta a Versailles poco prima che i forconi la costringessero a sloggiare: «Farmi una domanda sul prezzo non ha senso, non è un problema che mi riguarda». Fa piacere che in tempi di depressione di massa qualcuno mantenga una discreta autostima ma sono parole che nemmeno Michelangelo, che era Michelangelo, si sarebbe sognato di pronunciare davanti ai suoi committenti. Insomma, io che amo il lambrusco e la trippa e i lampascioni e il riso e bisi mai avrei pensato di dover prendere le difese di un ricco gourmet (il cliente all'origine dell'ambaradan è amministratore delegato di una grande società) che pasteggia retoricamente a tartufi e bottiglie da asta.

Se i francesi il tartufo lo chiamano «truffe» una ragione ci sarà: goloso avvisato, mezzo salvato. Purtroppo però Cracco è recidivo: contestazioni di conti (seppur con meno polverone) ce n'erano già state e nell'ambiente i suoi sommelier sono famosi per la pressione psicologica esercitata sui clienti pivellini. Niente di esplicito ma una sensazione spiacevole: o prendi il vino costoso che ti proponiamo noi o preparati a sopportare il nostro sguardo sprezzante per l'intera cena. Sia chiaro, l'Italia era piena di locali dove ai bevitori di champagne venivano srotolati i tappeti rossi mentre se ordinavi una barbera frizzante il cameriere inaspriva il tono di voce.

Ma siccome non tutto di una crisi viene per nuocere, certe supponenze si sono quasi estinte. Molti chef sono scesi dalle loro orbite rarefatte (tanto per cominciare adesso si fanno chiamare cuochi) scoprendo che si possono fare ottime figure con ingredienti poveri ma ben cucinati e vini sconosciuti però veri. Può farlo benissimo anche Cracco, a cui non mancano i fondamentali né le idee.

L'importante è lasciar perdere il tartufo: nemmeno gli amministratori delegati se lo possono più permettere.

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