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Questo Bocca furioso somiglia a un fascistone

"Annus orribilis" è una collezione di invettive contro la modernità che fa riemergere l'anima reazionaria del giornalista progressista. Berlusconi è un dettaglio nell'Italia di "pecore" che fa rivalutare il Ventennio

Questo Bocca furioso somiglia a un fascistone

C’è che quasi si sente chiamare l’onda anomala che spazzi via tutto e metta fine all’annus horribilis, al Paese horribilis e alla sua gente, soprattutto alla sua gente, probabilmente all’umanità in generale, «le scimmie feroci che hanno riempito il mondo». Qui siamo in pieno genere misantropico-catastrofista, con passaggi spaventosi di decadenza, rovina, degrado etico, corruzione da fine impero, e quindi fame di annientamento finale e purificatore.

Lo spettro costante che sempre ritorna, la cornice metafisica in cui si muove il grande misantropo Giorgio Bocca è quella eroica e mitica della guerra di liberazione, il tempo del coraggio e delle scelte definitive con i buoni da una parte e il male dall’altra. Si capisce che Bocca, da odiatore profondo dell’umanità borghese e delle sue rappresentazioni politiche, rimpiange quel tempo mettendolo a confronto con la dittatura morbida, televisiva, in cui gli pare di vivere. Di mezzo non c’è solo il detestato Berlusconi, il sultano, il populista, l’amico dei dittatori etc., che serve a Bocca per sintetizzare tutti i mali italiani, ma qualcosa di più arcaico.

È che Bocca non ce l’ha solo col Cavaliere, neppure soltanto con gli italiani, che peraltro disprezza (citando quale sommo conoscitore della specie Benito Mussolini: «La razza italiana è una razza di pecore, non bastano diciotto anni per trasformarla, ce ne vogliono centottanta, e forse centottanta secoli»), Bocca ce l’ha con la modernità tutta, nel suo complesso, con “le macchine intelligenti”, con i computer che hanno sostituito la scrittura manuale, con la tecnocrazia, che si declina anche nella “plutocrazia” (altro termine mussoliniano) dei banchieri e dei top manager dai bonus milionari (tra cui spicca il giudeo Madoff), con il culto del benessere come aspirazione sociale (riecco «la vita comoda» disprezzata dall’ideologia dell’azione fascista). Ecco insomma che esce in grande stile l’anima reazionaria di Bocca, giovane ammiratore della rivoluzione fascista al tempo dei Guf. Al disordine contemporaneo dei suoi simili, all’anarchia borghese dell’Italia di Berlusconi, Bocca preferirebbe un ordine di tipo etico, uno Stato moralizzatore, che regolasse la vita pubblica fin nei dettagli. Il taglio dei capelli, persino. Al misantropo Bocca fanno davvero spavento «le ciocche di capelli a caduta sulla fronte», non si capacita di come «improvvisamente gli italiani hanno cominciato a pettinarsi, anzi a spettinarsi, allo stesso modo. Me ne sono accorto da un figlio, che senza esagerare ha cominciato pure lui a spettinare i suoi capelli, a farli cadere sugli occhi».

Il movimento disordinato delle ciocche, che dovrebbero invece comporsi militarmente in un taglio corto, è l’immagine della libertà anarcoide che Bocca, severo uomo di altri tempi, detesta. L’Italia che ha davanti agli occhi e che squaderna con fiotti di bile in Annus horribilis (Feltrinelli, pagg. 158, euro 15) è una mostruosità da cui non si salva quasi nulla, ma lo sguardo del giornalista è talmente amaro e cinico da tradire un risentimento personale, una irresistibile paura (che lui stesso confessa più volte) di fronte alla realtà ormai aliena, il timore e l’odio dell’anziano verso il progresso che ha travolto e cancellato il mondo a lui caro. Berlusconi è solo un epifenomeno di questo terrore ancestrale, l’icona di una società che si vorrebbe distrutta perché incomprensibile e ostile, la modernità come male. Bocca, nemmeno fosse il Pound nemico del denaro, accusa «la rivoluzione plutocratica che ha fatto del denaro l’unica indiscutibile unità di misura della nostra vita, il colpo di stato dei manager, quelli che manovrano il denaro e le tecniche».

Bocca, nemmeno fosse uno Jünger in trincea, torna scrittore quando rievoca, con palpabile nostalgia, la caccia al nemico nei boschi durante la guerra: «Sei vicino a un albero di tronco forte, in piedi dietro l’albero, e d’improvviso nell’aria arriva come uno schiaffo, come un soffio, vedi nel tronco zampillare una raffica di proiettili. Ti morde uno spasmo di paura ma resti certo della tua immortalità, la Parca non ha ancora spezzato il filo della tua vita». Bocca, nemmeno fosse Heidegger, si duole della «modernità computerizzata dove tutto è più comodo e facile, ma tutto è più mediocre e volgare. Il dubbio di assistere a un grande inganno, a una retrocessione umana scambiata per un passo decisivo per la sopravvivenza in un futuro radioso, non mi ha mai abbandonato». È così che l’impulso reazionario contro la modernità della tecnica esplode, nel pamphlet contro l’Italia di Berlusconi, non contro Berlusconi ma contro Renato Soru, già governatore del Pd e editore dell’Unità.

La sua colpa, agli occhi di Bocca, è «aver creato in Sardegna una società di nome Tiscali fatta di aria, di segni leggeri come l’aria, parole, memorie, calcoli che il giovanotto intraprendente vendeva come fossero pane o carne. Se le vendeva aveva ragione lui, ma a me sembrava che fossero opera di magia, da far sparire come il Maligno con il segno della croce». Meglio il tempo in cui in casa non c’era il telefono e l’acqua calda, non automobili o motociclette, quando non si mangiava carne tutti i giorni, non si andava a ballare tutte le sere e la canzone più in voga era Se potessi avere mille lire al mese. Sopra ogni cosa, l’odiatore anti-progressista Bocca rimpiange le ragazze da marito che «non si cambiavano d’abito ogni stagione, ma tenevano il corredo per tutta la vita». Ragazze per bene, degne figlie dell’Italia da confrontare con «le gallinelle del padrone, le donne della destra al potere, con le camicette bianche sull’impetuoso seno, a memoria di privilegi maschili antichi». Berlusconi come sintesi dei difetti italiani, e di riflesso, nel panico distruttivo bocchiano, responsabile sommo del decadimento degli italiani, colpevole di tutto, grande imputato per il baratro intellettuale del Paese che ha corrotto tramite le tv commerciali, la pubblicità, la vile società del commercio, responsabile in ultima analisi anche dei «fabbricanti di pesto che sostituiscono il basilico, che annerisce, con erbacce che conservano il verde», un altro grande cruccio di Bocca.

Al di là delle parti su Papi, Noemi, tirannide varia, tutto materiale di risulta delle paginate della Repubblica a cui l’ex grande giornalista d’inchiesta non può aggiungere nulla di suo, il Bocca autentico viene fuori negli odii quotidiani e nel sentimento di rancore misto a impotenza che deve provare avendo a che fare con la tecnocrazia moderna. L’incubo degli «omini della manutenzione». «C’è l’omino della televisione, come l’omino dei computer, dell’elettricità, dell’automobile, della lavastoviglie, di tutto ciò che ti è indispensabile, senza il quale non sai più vivere. E allora capisci il grande colossale ricatto dell’economia consumistica moderna. La manutenzione come una rete nuova e senza fine, di cui non puoi più liberarti». Nel lamento antimoderno, si stava meglio quando si stava peggio, l’ultimo corollario inevitabile è per la furberia che alleggerisce il portafogli: quelli del ristorante di Verrès, in Val d’Aosta, luogo di villeggiatura del grande giornalista, «dove una volta si pranzava per venti euro, oggi il minimo è quaranta», insieme alla truffa - insopportabile per l’ex ufficiale alpino - degli scarponi da sci, che «ai miei tempi erano scarpe di cuoio normali solo con gli orli della punta allargati, oggi sono in plastica, a forma di sommergibili atomici, modellati sul piede con il poliuretano espanso, carissimi, sui duecento euro».

Avevamo aperto il libro preparandoci a leggere un progressista inferocito con la destra al potere, lo abbiamo chiuso trovando uno scrittore di destra che rimpiange la civiltà contadina dove non c’era la tv e gli uomini crescevano tra i boschi e le montagne. Naturale che odi Berlusconi.

È troppo a sinistra per lui.

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