Una regola per ogni credo «Il cibo è un dono divino»

Salani: «La libertà alimentare cristiana è massima, ma spesso è stata usata anche in modo distorto»

Il cibo ha sempre avuto qualcosa a che fare con gli dei. Può quindi capitare che un teologo finisca in cucina e scriva un saggio, pubblicato da Edb, dal titolo: A tavola con le religioni. Massimo Salani ha 41 anni e insegna Patrologia allo Studio teologico interdiocesano di Pisa, ma è anche professore di religione alla scuola professionale «Matteotti» per cuochi.
Quando ha iniziato a scrivere ha pensato soprattutto ai suoi allievi, un modo per collegare i suoi insegnamenti alla pratica quotidiana dei fornelli. Ecco allora che dietro il tabù alimentare di ebrei e musulmani sulla carne suina ci sono, certo, ragioni climatiche e igieniche, ma anche motivi economici: l’habitat dell’Oriente non è propizio all’allevamento suino. Ogni religione, d’altra parte, ha le sue regole sul mangiare sano e sacro. I cattolici digiunano, un Papa proibì il consumo di carne di cavallo, gli indù rispettano le vacche e quelli che appartengono alla casta più alta non mangiano carote. Magari non sono diete bilanciate, ma servono a cementare la fede. «Le prescrizioni sacre - precisa il professor Salani - non si pongono il problema scientifico di formulare una dieta corretta. Il punto di vista è diverso: il cibo è essenzialmente un dono ricevuto da Dio, quindi l’eventuale equilibrio dell’alimentazione va inteso su un piano superiore. Le diete religiose dunque non si possono dire né equilibrate né bilanciate, sicuramente però non sono dannose all’organismo. Anche se la moderna dietologia avrebbe forse qualcosa da ridire sul non consumo di carne, o di qualche tipo di carne».
I problemi di peso dell’Occidente non sono comunque un problema che pesa sul cristianesimo, il regime alimentare più libero da prescrizioni. Il fast food, di certo, non è un modello cattolico, manca l’aspetto comunitario, di condivisione, la preghiera prima dei pasti, il pane spezzato e dato a tutti come condivisione dello spirito. «La libertà alimentare cristiana è l’optimum, sia dal punto di vista teologico che dietetico - assicura il professore - Però questa libertà è stata usata anche in modo distorto. L’obesità non ha nulla a che vedere con la religione, forse invece nel cibo si sfoga lo stress». E questo è un problema che ha a che fare con la deriva della modernità denunciata da Wojtyla e da Ratzinger. «La Chiesa ha sempre promosso periodi di festa e di banchetto, però insieme ad altri in cui si doveva contenere l’appetito. L’anoressia? La libertà cristiana è per un contatto equilibrato con gli alimenti, che non è quello di un rifiuto del cibo per adeguarsi ai modelli correnti di magrezza. Il digiuno non è un sacrificio per formare il carattere, quanto un modo per accostarsi correttamente a Dio.

E la Chiesa, secondo me, ha sbagliato ad abbassare la soglia delle prescrizioni alimentari: se tornassimo a una quaresima “forte”, avremmo certo una risposta più coerente dai fedeli e il digiuno potrebbe servire a proporre con più credibilità anche il messaggio della fede».

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