Controstorie

Repressione senza tregua Pure la Chiesa nel mirino

Dopo circa mille tra morti e desaparecidos, non si arresta la rivolta contro il regime di Ortega

Paolo Manzo

Josué Joel Mora, studente 16enne, è solo uno dei 595 desaparecidos nel paese di Daniel Ortega, secondo i dati raccolti dalla Associazione nicaraguense per i Diritti Umani (Anpdh). La sua colpa? Partecipare alle marce che dal 18 aprile scorso chiedono che il presidente/tiranno del Nicaragua lasci il potere al più presto. Maria, sua madre, un'umile donna delle pulizie, ha visto Josué per l'ultima volta quand'è uscito correndo da sotto il letto dove si era nascosto il 4 luglio scorso. Si era fatto vedere solo quando uno dei paramilitari orteguisti, entrati col passamontagna nella sua casa di Masatepe, aveva puntato la pistola alla tempia alla madre facendole una domanda: «Vuoi morire qui cagna disgraziata?».

Masatepe è un comune di 30mila anime, più della metà dei quali contadini, ed è vicino a Masaya che a fine anni Settanta - quando dire sandinista voleva dire difendere le libertà e la vita - era un feudo di Ortega, mentre ora proprio da queste parti è maggiore la rabbia contro la sua satrapia. Dal 4 luglio scorso Maria non sa che fine abbia fatto suo figlio perché non sa se gli sgherri di Ortega lo hanno catturato. Così mentre lei si ostina a credere che sia libero ma nascosto, alcuni suoi vicini le hanno assicurato che «gli assassini del governo lo hanno ucciso».

Se sommiamo i 595 desaparecidos ai circa 400 morti, fanno quasi mille vittime in quattro mesi, che tradotto vuol dire un governo di assassini, al pari di quello che fu negli anni Settanta la giunta argentina di Videla prima e dell'alcolista Gualtieri poi. Ortega beve ma non come chi diede l'ordine di invadere le Falkland/Malvinas mandando al macello un'intera generazione argentina. Il suo vizio principale, oltre ad ammazzare gente, è quello di essere un pedofilo attratto da bambine in età preadolescenziale. Sa che se dovesse perdere il potere sarebbe giudicato e condannato dai tribunali internazionali, o qualcuno gli farebbe fare la fine di Somoza (ucciso un anno dopo la fuga in Paraguay), per questo non ha nessuna intenzione di mollare.

Certo, queste notizie non le leggerete mai sui media «di sinistra» che, almeno per quanto concerne il Nicaragua, raccontano favole. Il modello del resto è quello cubano, per cui chi si oppone alla dittatura comunista prima è ucciso o gli viene «assassinata la reputazione» e poi è chiamato a vita gusano (verme). A Caracas l'esempio cubano è stato seguito alla lettera da Nicolás Maduro, solo che là gli oppositori sono soprannominati escualidos, squallidi. Inutile dire che poco importano agli amanti dell'informazione politicamente corretta i quasi mille studenti uccisi o fatti sparire da Ortega. E allora di Nicaragua non si scrive proprio, oppure si definiscono «terroristi» gli studenti che dal 18 aprile scorso si ribellano agli abusi della coppia presidenziale Ortega-Murillo, mentre i preti e i contadini che li appoggiano sono «golpisti al soldo degli yankee» e il forum organizzato da Amnesty International a Santiago del Cile per trovare una soluzione che interrompa l'eccidio nicaraguense è boicottato dai soliti alunni del G2 cubano.

È a dir poco noiosa la prassi con cui si muove la stampa radical-chic, quella per cui, se proprio di Ortega bisogna scrivere in termini negativi, allora che sia chiara una cosa, ovvero che lui non è più sandinista quindi non è più di sinistra, ma un governante autoritario che venendo a patti con la Chiesa cattolica in tema di aborto e matrimoni omosex, con il Fmi sulle politiche monetarie e fiscali e con i maggiori imprenditori nicaraguensi, si è trasformato in un fascista.

Che poi da Caracas e dall'Avana un giorno sì e l'altro pure arrivino comunicati di appoggio incondizionato al boss di Managua e che anche i media tradizionali scrivano poco del Nicaragua perché convinti non interessi a nessuno, poco importa. Noi invece ci ostiniamo a voler informare che dopo aver violentato la figliastra Zoilamérica da quando lei aveva 11 anni (e costretta a fuggire all'estero) e dopo avere violentato la 15enne Elvia Juneth Flores Castillo, il pedofilo Ortega, a differenza di quanto promesso qualche settimana fa, non ha nessuna intenzione di far entrare osservatori indipendenti in Nicaragua per verificare le denunce per crimini contro l'umanità contro di lui ed il suo governo. Che dopo avere dato ordine ai suoi paramilitari di picchiare il nunzio apostolico Stanislaw Waldemar Sommertag, l'arcivescovo di Managua, cardinal Leopoldo Brenes e il suo vescovo ausiliario, Monsignor Silvio Báez, nella basilica di San Sebastian di Diriamba, Ortega continua a far attaccare dai suoi sgherri le chiese, ultima in ordine di tempo quella della Divina Misericordia di Managua. Infine, come estrema mossa per piegare l'ostinato coraggio con cui la Chiesa locale denuncia tutte le sue nefandezze, Ortega ha ordinato di tagliare tutti gli aiuti di Stato al clero del Nicaragua. «Dio provvederà», gli ha risposto il cardinal Brenes, aggiungendo però che il taglio punitivo «avrà conseguenze sulle cure che diamo ai bambini sieropositivi e ai malati di cancro.

Però il Signore provvede sempre perché è lo stesso Dio della moltiplicazione dei pani e dei pesci».

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