Politica

La riforma necessaria

Si avvicina la data del referendum costituzionale del 25-26 giugno. L’Unione dice: prima bocciamo la riforma della Casa delle libertà, poi mettiamoci intorno a un tavolo. Di sicuro punta a un successo politico per puntellare il risultato del 9-10 aprile. La Cdl replica: non c'è garanzia che questo avvenga; se invece vince il Sì, la maggioranza di sinistra ha interesse a dialogare per introdurre delle modifiche e l’opposizione per accettare dei miglioramenti poiché c’è tutto il tempo per farlo nel corso della legislatura. Anche per dare continuità e legittimità al lavoro del Parlamento.
1. Qual è la principale accusa di metodo rivolta dalla sinistra alla riforma costituzionale approvata dal centrodestra nella scorsa legislatura?
È che è stata approvata dalla sola maggioranza di centrodestra e non sulla base di un largo consenso. In realtà, l’accusa non è formulata in questo modo poiché fu il centrosinistra, nel 2001, ad approvare, con i suoi soli voti, una riforma parziale della Costituzione, quella del Titolo V, che varò un federalismo sbilanciato a favore delle Regioni, causa non ultima dei deficit degli enti locali. Perciò la sinistra si limita a sostenere che la Costituzione, essendo di tutti, deve essere riformata sulla base di larghe intese tra le forze politiche.
2. Quali autorevoli personalità appoggiano questa linea del largo consenso?
In prima fila c’è l’ex presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, che durante il suo mandato ha incoraggiato le riforme ma ha auspicato che venissero fatte con larghe intese tra le forze politiche. Tuttavia, questa linea si è approfondita nei confronti del governo di centrodestra poiché Ciampi non obiettò alla riforma del Titolo V, riguardante il rapporto Stato-Regioni, approvata dal solo centrosinistra. Il nuovo capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ha ripreso la stessa linea, auspicando il dialogo tra le forze politiche e un clima disteso per favorire decisioni ampiamente condivise.
3. Che cosa insinua l’ex presidente Oscar Luigi Scalfaro?
L’ex capo dello Stato, Oscar Luigi Scalfaro, presidente del «Comitato per il No», parlando il 2 giugno a Firenze ha sostanzialmente accusato di «fascismo» la riforma del centrodestra. Pur ammettendo che «la Carta non è intoccabile», ha detto che «in questa riforma il Parlamento viene mortificato, il capo dello Stato è ridotto a nulla, perché il potere di scioglimento delle Camere viene dato ad un primo ministro senza contrappesi e garanzie. Tutte queste cose fabbricano un primo ministro onnipotente: ma veramente il popolo italiano sogna questo, a 63 anni dalla caduta di un primo ministro onnipotente?». In realtà gli scioglimenti anticipati non sono mai stati decisi autonomamente dai capi dello Stato, ma da una maggioranza dei partiti: Scalfaro è legato alla «Repubblica dei partiti».
4. Che cosa prevede la Costituzione?
La Costituzione in vigore, all’art. 138 prevede che le riforme costituzionali debbano essere ponderate. Per questo impone una doppia votazione dello stesso testo, a distanza di almeno tre mesi l’una dall’altra. Senza dubbio spinge per un largo consenso, in quanto prevede che se la riforma è approvata dai due terzi dei parlamentari, entra immediatamente in vigore; ma non ne fa una questione decisiva. Nel caso in cui la riforma venga approvata solo a maggioranza assoluta (metà più uno dei componenti di ciascuna Camera), la Costituzione prevede infatti la possibilità di chiedere un referendum popolare, ma non esigendo il quorum attenua di molto la spinta verso il largo consenso.
5. Chi vota al referendum?
Tutti i cittadini che abbiano compiuto 18 anni. Il referendum costituzionale è di tipo sospensivo e non abrogativo, come quello che riguarda le leggi ordinarie. Quindi vota Sì chi vuole l’entrata in vigore della riforma approvata e «sospesa» fino al voto; e vota No chi non vuole che la riforma entri in vigore. Inoltre non è necessario il quorum di votanti pari al 50% più 1 degli aventi diritto. Si conteggeranno solo i Sì e i No. Paradossalmente, se andasse a votare un solo elettore, e se questo votasse Sì, la riforma entrerebbe in vigore; se votasse No, la riforma verrebbe respinta. È questa una anomalia rispetto allo spirito dell’art. 138 della Costituzione, ma conferma che tale articolo privilegia la riforma per via parlamentare.
6. Che cosa si intende per voti validi?
Per voti validi si intendono i Sì e i No, le schede bianche e nulle sono considerate voti non validi e quindi non vengono prese in considerazione. Se, per esempio, i votanti sono 1000, i voti non validi 200, il referendum viene approvato se ottiene 401 Sì (800:2+1).
7. Sarebbe opportuna la convocazione di una Assemblea Costituente per riformare la Costituzione?
È questa una proposta sostenuta principalmente dai sostenitori del No, ma a molti appare come una scappatoia per non modificare nulla. La Costituzione non prevede per la propria riforma la convocazione di un’apposita assemblea, ma lascia questo potere al Parlamento ed eventualmente ai cittadini. In genere, un’Assemblea Costituente è opportuna e necessaria quando si tratta di scrivere l’intera Costituzione, ma non è questo il caso. Il federalismo e il premierato previsti dalla riforma che sarà sottoposta a referendum non sono sconvolgenti, ma rispondono sia all’evoluzione in senso autonomistico del regionalismo sia al bisogno largamente condiviso di rafforzare i poteri del Governo. Né la riforma tocca i principi fondamentali della Costituzione per cui non si vede la necessità di dare vita a un’apposita assemblea. Anche in Francia, nel 1958, nonostante la riforma costituzionale promossa dal generale de Gaulle fosse profondamente innovativa rispetto alla Costituzione della IV Repubblica, non si ricorse alla convocazione di un'assemblea costituente, ma il testo approvato da un Comitato consultivo fu sottoposto a referendum popolare e approvato a larghissima maggioranza.
8. Che cosa accadde con la riforma del Titolo V approvata dal centrosinistra nel 2001?
La riforma del Titolo V fu approvata dalla Camera dei deputati in seconda lettura il 28 febbraio 2001 e dal Senato della Repubblica l’8 marzo dello stesso anno e fu sottoposta a referendum popolare il 7 ottobre 2001. Su 49.462.222 aventi diritto al voto, gli elettori che si recarono alle urne furono 16.843.420, pari al 34,1% del totale. Approvarono la riforma 10.433.574 elettori (il 64,2% sui voti validi; ma solo il 21% del corpo elettorale) mentre si espressero contro 5.816.527 cittadini (rispettivamente il 35,8% e l’11,8%). Vi furono 593.319 schede non valide, ci cui 236.561 bianche e 356.758 nulle.
9. Che cosa accadrebbe se vincesse il No?
Resterebbe in vigore la Costituzione attuale, comprensiva della riforma del Titolo V approvata dal centrosinistra. La principale innovazione introdotta da questa riforma è la riformulazione dell’articolo 117 sulla potestà legislativa statale e regionale. In precedenza, l’articolo in questione elencava le materie riservate alla potestà legislativa regionale, «sempre che non in contrasto con l’interesse nazionale e con quello di altre regioni», mentre il resto della potestà legislativa spettava allo Stato. La riforma approvata dal centrosinistra, invece, ha delineato (per materia) gli ambiti di competenza statale, regionale e «concorrente», causando una serie di contenziosi presso la Corte Costituzionale. La riforma del centrodestra ha reintrodotto il principio dell’interesse nazionale, puntellando in tal modo l’unità nazionale e ha meglio definito la divisione di poteri tra Stato e Regioni.
10. Che cosa accadrebbe se vincesse il Sì?
La riforma entrerebbe in vigore, ma per gradi e l’intero iter si concluderebbe nel 2016. Questo darebbe tempo per ulteriori perfezionamenti, come ha dichiarato Umberto Bossi. La vittoria del Sì favorirebbe le larghe intese su queste ulteriori modifiche. La vittoria del No, cui Prodi attribuisce un significato politico di conferma del voto del 9-10 aprile, rafforzerebbe invece la posizione di tutti coloro che non vogliono modificare nulla. La battaglia della sinistra per il No ha inoltre un interesse preciso: con la riforma entrerebbe in vigore la norma anti-ribaltone, e se Prodi perdesse un pezzo di maggioranza sarebbe automatico il ritorno alle urne. Invece la sinistra vuole tenersi aperta la strada - mantenendo l’attuale Costituzione - di un ribaltone interno come avvenne nel 1998 senza correre il rischio del giudizio popolare.
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