Politica

Come risolvere il nodo del testamento biologico

Uno dei nodi fondamentali della discussione sulle dichiarazioni anticipate di trattamento riguarda, come è noto, la possibilità di includere o meno in suddette dichiarazioni anche l'alimentazione e l'idratazione. Sgomberiamo subito il campo da una falsa informazione, oggi peraltro molto diffusa, e cioè che l'obbligo di nutrizione ed idratazione non si trovi in nessun Paese civile. In realtà, nei Paesi europei che si sono dotati di una legge in materia, nessuno prevede che sia possibile richiedere anche la sospensione di cibo ed acqua per via orale. La legge inglese, ad esempio, non ammette esplicitamente questa possibilità. Questo è un primo punto importante: occorrerebbe distinguere tra nutrizione e idratazione artificiali, somministrati cioè attraverso il sondino nasogastrico o tubo gastrico, e idratazione e nutrizione naturali. Queste ultime dovrebbero sempre e comunque essere offerte al paziente e andrebbero interrotte soltanto quando è l'organismo stesso a rifiutare cibo e acqua, perché la morte è ormai imminente e non ha più alcun senso procrastinarla nel tempo con l'uso di mezzi che nelle condizioni cliniche date non possono che risultare sproporzionati.

Ma veniamo, ora, al nostro disegno di legge attualmente al centro della discussione. Non vi è dubbio che il testo a riguardo sia estremamente rigido: esclude la possibilità di esprimere la propria volontà su questo punto in modo categorico. Ad una tale rigidità si oppone quella di segno contrario, fatta propria dalla maggioranza dell'opposizione, arroccata, come dire, nella difesa del libero arbitrio. Il punto è delicato e andarci giù con la mano pesante non aiuta a risolvere casi tragici, ecco perché non si può che guardare con favore all'emendamento a riguardo proposto da Rutelli. Il rischio in questa prospettiva è però che si affidi al medico un potere troppo grande: proprio a lui, che ippocraticamente è chiamato a salvare la vita, spetterebbe in ultima istanza il potere di decidere sulla morte ponendo in tal modo una seria ipoteca sulla sua etica professionale. Detto questo, l'idea che accanto a una regola generale, il legislatore ammetta una possibile eccezione in una materia come questa, che sfugge alle facili generalizzazioni, appare del tutto auspicabile. Ecco di seguito una proposta che sottopongo alla discussione.

Io credo che il divieto di sospendere nutrizione ed idratazione artificiali non dovrebbe essere formulato nei termini assoluti e incondizionati con cui viene presentato nel disegno di legge. Non si può infatti a priori escludere che in alcuni casi il trattamento di sostegno vitale possa effettivamente costituire una forma di accanimento terapeutico. È falso affermare che la mera somministrazione di cibo ed acqua sia di per sé una forma di accanimento, per il semplice fatto che consente la prosecuzione di una vita ormai ridotta alla condizione «vegetale», ma la prosecuzione del trattamento potrebbe diventarlo quando ci si rendesse conto che è fonte di sofferenze per il paziente (ad esempio per il modo in cui le sostanze nutritive vengano fornite). Non ho competenze mediche specifiche ma credo che un tale caso potrebbe verificarsi quando un paziente non è più in grado di alimentarsi per bocca (e ciò vuol dire che persino la deglutizione è ormai definitivamente compromessa e il suo organismo non è più in grado di assimilare sostanze nutritive).

Una commissione etica indipendente potrebbe essere chiamata a valutare al letto del paziente le sue condizioni e ad accertare se la prosecuzione del trattamento non possa ormai essere considerata come qualcosa di sproporzionato. A quell'articolo, dunque, andrebbe aggiunto un ulteriore comma, il quale affermi che la sospensione è lecita quando una commissione etica dell'ospedale costituita ad hoc abbia accertato che in quel determinato caso la prosecuzione del trattamento di sostegno vitale si configuri come una forma di accanimento terapeutico. Certo questo complica le cose, ma la soluzione di un divieto assoluto è una soluzione troppo semplice per un problema maledettamente complesso. La lotta politica, anche aspra com'è giusto che sia quando si tratta di un conflitto fra valori, non deve far venir meno l'uso responsabile della ragione.

C'è nell'attuale situazione un grosso rischio: quello di trovarsi con una legge che sarà subito oggetto di mille contestazioni quando si potrebbero facilmente evitare adottando una soluzione come quella qui prospettata.

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