Politica

La rivolta dei signori del bollo: «Macché casta, i notai servono»

Viaggio nella categoria più invidiata d’Italia Sono i contribuenti più ricchi

Privilegiati d’Italia, tremate. Adesso vi facciamo i conti in tasca. O perlomeno ci proviamo.
I primi della lista sono d’obbligo quelli che compaiono in cima all’elenco dei riccastri, i primi contribuenti del fisco, ma sì la categoria dei notai, quei signorotti ben vestiti che stanno dietro una scrivania a mettere firme su scartoffie giuridiche e cineserie varie. E per ogni scarabocchio il tassametro fa segnare una sfilza di zeri. I notai in Trentino arrivano a dichiarare al fisco introiti superiori ai 900mila euro mentre in Lombardia mediamente stanno un po’ sopra i seicentomila. Una indecenza se si considera che i poveri gioiellieri in Lombardia superano a fatica i 21mila euro e guardano con qualche invidia i maestri elementari.
Bella vita quella del signor notaio: poca o nulla concorrenza, compensi elevati corrisposti da chi si trova obbligato da leggi dello Stato a fare anticamera per conferire valore legale alle pratiche più varie.
Gli avvocati crescono più dei funghi porcini sotto la pioggia d’agosto: sono oggi 180mila e riescono a sopravvivere grazie a una clientela che generosamente procura l’etilismo cronico del legislatore italiano. I notai no, sono e restano cinquemila in tutta Italia, anzi di meno perché le idoneità a ricoprire le sedi vacanti vengono concesse col contagocce.
Adesso che il ministro Bersani ha scippato alla categoria la competenza sugli atti di passaggio di proprietà degli autoveicoli e l’estinzione di ipoteca sui mutui il cronista raccoglie le voci della categoria predisponendosi a registrare acute grida di dolore.
«Ma lo sa lei quanto prendevamo su un passaggio di proprietà di un’auto? Cinquecento, mille euro? No, al massimo 37. Per le ipoteche da estinguere si andava mediamente sui 700 euro. Credete che chi fa il passaggio di proprietà o estingua una ipoteca bancaria adesso spenda di meno?». Il cronista provoca: vabbé, però guardate che il vostro numero chiuso contrasta con la logica del libero mercato e va fatto saltare. Risposta: «Perché no? Parliamone e troviamo soluzioni che non danneggino un servizio pubblico fondamentale».
In ogni caso avete dei compensi mostruosi. Risposta: «Confrontateli pure con quelli degli avvocati, dei chirurghi o delle agenzie immobiliari. Magari fatevi qualche domanda sui professionisti che dichiarano anche meno di 30mila euro di reddito all’anno».
Ma lo sanno tutti che difendete i vostri privilegi con la potente lobby che schierate in Parlamento. «Tra Camera e Senato la potente lobby dei notai può contare su quattro seggi». Quattro gatti fanno una lobby?
Sì, però siete una corporazione che coopta i nuovi addetti con machiavelliche liturgie concorsuali. «Macché, l’82,65 per cento dei notai italiani non è figlio di notaio e ha superato il concorso da perfetto sconosciuto».
Esaurite le pallottole il cronista chiede di trattare la resa mentre sul tavolo si allineano numeri e argomentazioni.
Esaminiamo allora senza prevenzioni il ruolo dei notai e lo spazio che occupano all’interno delle pubbliche istituzioni (si tenga presente che il notaio è un pubblico ufficiale).
Cominciamo dal dato che più eccita la critica delle altre professioni intellettuali: il mitico numero chiuso. I posti disponibili sono attualmente 5.342 dei quali assegnati solo 4.860 circa.
«Macché numero chiuso - replica Giuseppe Vicari, notaio in Messina e vicepresidente del Consiglio nazionale del Notariato -. Il numero è programmato in quanto si riferisce a una pianta organica, come per i magistrati. In tutti i Paesi in cui opera il notariato di tipo latino, 76 Paesi che rappresentano oltre il 62 per cento del Pil mondiale (21 Paesi europei su 27 ndr) vige il numero programmato. Fa eccezione l’Olanda, dove il candidato che supera le prove concorsuali patteggia con l’Amministrazione la propria sede. È evidente che se analogo criterio si applicasse da noi tutti pretenderebbero Milano o Roma o comunque sedi dove economia e affari viaggiano a pieno regime. Con il che verrebbe meno il principio della diffusione capillare del servizio su tutto il territorio nazionale. La pianta organica dei notai viene rivista ogni sette anni sulla base di pareri raccolti anche presso le Corti d’Appello. Noi non abbiamo preclusioni a che questo numero venga ancora una volta al più presto aumentato con istituzione di nuove sedi notarili dove il numero degli affari è cresciuto in modo esponenziale. Ricordiamoci però che il notaio è tenuto ad essere presente anche in zone marginali del Paese, come certe aree montane, dove un professionista vivacchia a malapena».
Concorda il Guardasigilli Clemente Mastella, competente in materia di notariato: «Il numero dei notai presenti in Italia appare congruo rispetto ai compiti agli stessi affidati. È evidente che la predeterminazione del numero non deve essere intesa tanto come indicazione di un numero massimo da non superare ma va concepita come distribuzione di organico sul territorio, in modo tale che la funzione notarile - per molti versi pubblica funzione - sia presente ovunque e non solamente nelle sedi che assicurino un maggior introito dal punto di vista economico».
Uno che è arcistufo del marchio di privilegiato è Valerio Tacchini, notaio a Milano dopo aver superato pure l’esame da avvocato. Fa notare che nella sola circoscrizione della Corte d’Appello di Milano gli avvocati sono la bellezza di 18mila. Ogni anno altri duemila legali vengono iscritti all’albo. «La concorrenza - fa notare Tacchini - non deve essere sfrenata altrimenti per incrementare l’occupazione si abbassa la qualità. Finisce poi che non c’è lavoro per tutti e molti restano delusi da stipendi impiegatizi».
Oltre al numero programmato sono anche le funzioni riservate ai notai a sollevare la protesta di altre categorie professionali, segnatamente commercialisti e avvocati. Respinge l'attacco il presidente nazionale dell’Ordine, il trentino Paolo Piccoli: «Le competenze notarili - obietta - non hanno niente a che vedere con riserve professionali, sono compiti di controllo di legalità affidati a soggetti che vengono preparati dall’ordinamento per esercitare tale controllo come pubblici ufficiali su delega dello Stato; soggetti sottoposti a controlli costanti e con responsabilità disciplinari, civili, fiscali e penali particolarmente forti». «Il buon funzionamento del nostro notariato, quello di tipo latino - aggiunge Vicari - è un fattore di sviluppo perché consente sveltimenti sicuri: basti guardare a cosa succede in Paesi a economia molto progredita ma con pubblici registri poco affidabili e un contenzioso spaventoso. Negli Usa ad esempio il contenzioso investe il 2,5 per cento del Pil mentre da noi siamo allo 0,0029 per cento. Il nostro notariato per rispondere dei propri errori ha una assicurazione obbligatoria ed è soggetto a controlli periodici da parte del ministero della Giustizia. Ogni due anni sottoponiamo tutti gli atti all’ispezione ministeriale».


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