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Rivolta fiscale di un imprenditore: stipendio lordo in busta paga

Un imprenditore friulano scrive ai dipendenti e si autodenuncia all’Erario: "Da gennaio i contributi fiscali e previdenziali ve li pagate da soli. A me farlo costa troppo"

Rivolta fiscale di un imprenditore: 
stipendio lordo in busta paga

Un gruppo di imprenditori ha assunto un’iniziativa senza precedenti. Mettere in busta paga il compenso lordo anziché il netto. Cioè dare al lavoratore anche i soldi che normalmente l’azienda dovrebbe versare a Erario e Inps. Si tratta, in soldoni, di circa 2/3 dell’importo netto. L’esperienza è contenuta nel libro Elogio dell’evasore fiscale (Aliberti editore) in libreria da qualche giorno. Il promotore dell’iniziativa si chiama Giorgio Fidenato, presidente di un’associazione di agricoltori di Pordenone. Lo scorso gennaio ha preso carta e penna e ha scritto ai suoi sei dipendenti: «Vi comunico che il vostro datore di lavoro non provvederà più a trattenere e a versare a Inps e Agenzia delle Entrate le trattenute erariali e contributive». La motivazione è semplice: «A causa dell’incedere della crisi economica-finanziaria si rende necessario il taglio di talune spese, come quelle del nostro consulente che ci predispone le buste paga».

Ovviamente il datore di lavoro si è cautelato dicendo ai dipendenti come, quando e quanto pagare per non incorrere (e non far incorrere il proprio lavoratore) nel reato di evasione fiscale. Inps e Agenzie delle Entrate sono state avvisate della «novità» con un’altra lettera. Il ministero ha già risposto picche, ovviamente. È stato lo stesso direttore dell’ufficio di Gabinetto del ministero dell’Economia ad invitare i datori di lavoro a ritornare sui propri passi perché secondo la legge «il sostituto d’imposta è chi in forza di disposizioni di legge (il Dpr 600 del ’73) è obbligato al pagamento di imposte in luogo di altri».

Ma il problema, dicono gli imprenditori, è che questo lavoro di separazione del lordo dal netto è fatto gratis, ma ha dei costi di gestione notevoli (consulenti fiscali, burocrazia, moduli 770, personale dedicato ecc...) che le aziende sostengono gratuitamente. La Costituzione, dicono, impedisce a chiunque di lavorare gratis per lo Stato. Il significato dell’iniziativa è dunque aspettare l’inevitabile sanzione ministeriale e impugnarla per incostituzionalità davanti alla Corte. Aprendo a un contenzioso con lo Stato dagli esiti imprevisti.
I promotori dell’iniziativa fanno appello alla Lega Nord. In un articolo intitolato «Abolire il sostituto d’imposta», pubblicato sulla Padania del 23 settembre 2007, racconta Leonardo Facco, autore del libro, «l’allora segretario del sindacato padano Rosi Mauro disse esattamente questo: “È ingiusto che i lavoratori dipendenti siano tassati a monte”». Non basta. L’eliminazione dell’obbligo venne anche inserita al punto 6 della «famosa protesta fiscale agitata dal Carroccio ma mai esplosa». E questa battaglia ha anche un altro illustre precedente: il referendum radicale, bocciato nel 2000 dalla Corte costituzionale perché secondo l’articolo 75, comma 2, della Carta «è vietata ai cittadini la possibilità di decidere in materia fiscale». Ma l’idea del lordo in busta paga, secondo l’ex consigliere di Banca mondiale e Fondo monetario internazionale Rudi Dornbusch “è letteralmente rivoluzionaria”». La battaglia, promettono i promotori, è appena all’inizio...
felice.

manti@ilgiornale.it

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