Cronaca locale

Commercianti sul piede di guerra: "Se chiudiamo noi, Roma si spegne"

I commercianti di Roma hanno aderito all'iniziativa 'Spegni la luce' per protestare contro le tasse, le vessazioni burocratiche e la concorrenza sleale dei colossi del web, dei centri commerciali e dei minimarket

Commercianti sul piede di guerra: "Se chiudiamo noi, Roma si spegne"

Buia, insicura e desolante. Ecco come sarebbe Roma se un giorno sparissero tutti gli esercizi commerciali presenti in città. I ristoratori, gli artigiani e i titolari di negozi storici, con l'iniziativa 'Spegni la luce', hanno voluto porre l'attenzione sulla grave situazione di crisi economica che sta attraversando la Capitale.

Viale Libia e i cordoli della 'discordia'

I commercianti, oppressi dalle tasse, vessati dalla burocrazia e strozzati dalla concorrenza sleale, hanno spento le luci esterne dei loro locali in segno di protesta. Una protesta partita inizialmente da viale Libia contro la decisione della giunta capitolina di Virginia Raggi di installare dei cordoli lungo la strada per contrastare il fenomeno dei parcheggi in doppia fila. "Qui è fondamentale avere un parcheggio destinato allo shopping di almeno 50 posti, ma probabilmente per prendere i voti dei residenti contrari, ce l’hanno bocciato e ora rischiamo di chiudere le aziende", dice Armando Calò, titolare di un negozio d'abbigliamento. "Ci erano stati promessi i parcheggi perché la nostra strada è un centro commerciale a cielo aperto. E se la via non ha il passeggio, si soffre", gli fa eco Cinzia Romoli, titolare di un bar storico.

Commercianti alle prese con la concorrenza sleale

Ma, dato che a soffrire la crisi non sono soltanto gli esercenti che operano in viale Libia, all'iniziativa hanno aderito anche i commercianti di tanti altri quartieri, come ci spiega il promotore Giulio Anticoli, presidente dell'associazione Roma produttiva:"Le strade presentano vari ostacoli come i cordoli, gli ztl prolungati, i servizi pubblici inefficienti e le stazioni di metropolitana chiuse. Questo comporta che la gente si sposta sempre più nei centri commerciali che continuano ad aprire a dismisura. Una situazione che ci condanna alla chiusura". Oltre a questo, esiste una disparità fiscale eccessiva tra i negozi tradizionali e le grandi aziende dell'e-commerce. "Noi in media paghiamo il 64% di tasse, mentre chi lavora per l’e-commerce non paga nulla o lo paga nei paradisi fiscali", aggiunge Anticoli. Secondo i dati della Cna (confederazione nazionale dell'artigianato) un commerciante romano deve lavorare 245 giorni soltanto per pagare le tasse. "Noi siamo vessati da un governo che è completamente avulso dalla realtà. Roma è una delle peggiori città dove la gente non paga e i commercianti alla fine sono costretti a rivolgersi agli strozzini", si sfoga Alessandro Ferraro che aggiunge: "Oggi incassando 1000 euro, guadagni un 20%, poi ti resta il 5% e se vuoi pagare i dipendenti non ce la fai". A scagliarsi contro i colossi del web è anche il signor Gamboni, titolare di un altro storico negozio d'abbigliamento, che dice: "È normale lavorare senza essere pagati? Per pagare i dipendenti, non prendiamo soldi noi perché non reggiamo la concorrenza della stessa ditta da cui acquistiamo i prodotti che sul web fa prezzi più bassi dei nostri'.

Un altro grande tema è le disparità esistente tra gli stessi negozi di vicinato. "Se io lascio la scritta ‘saldi’ dopo i saldi, mi fate 2mila euro di multa, mentre la Rinascente fa i saldi quando vuole", dice Ferraro. A Roma, poi, ci sono circa 1300 tra neozio souvenir e minimarket che "espongono la merce come vogliono fuori dalle loro attività, mentre i titolari di negozi tradizionali se hanno un faretto che sporge di 5 cm in più dal palazzo sono costretti a demolirlo", spiega Anticoli. Per i minimarket, inoltre, è prassi normale restare aperti fino a tarda notte per vendere gli alcolici anche ai minorenni, ma nessuno fa niente ci dicono vari proprietari di bar e drogherie. E, come se non bastasse c'è sempre l'annoso problema del 'tavolino selvaggio' che, come ha già raccontato ilgiornale.it, tocca da vicino i locali del centro: "La pubblica amministrazione non ha capito che noi siamo la ricchezza di questo Paese e facciamo lavorare le persone. Manca il rispetto della tradizione e della romanità e noi non siamo difesi né dalla politica né dalle associazioni.

Quando dici ristoratori ormai pensi subito al tavolino selvaggio e ci paragonano a dei delinquenti".

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