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Per il rugby all'Aquila il grande sogno è durato soltanto un anno

Il ritorno degli abruzzesi nel Top 10 era stato applaudito come un simbolo della voglia di rinascita dopo il terremoto: ma ora le difficoltà economiche sembrano avere preso il sopravvento

I simboli, a volte, appassiscono in fretta. Della tragedia del terremoto, la squadra di rugby dell'Aquila era diventata un'icona: per le sue vittime, per il ruolo dei suoi giocatori nei soccorsi, per la voglia di ricominciare incarnata splendidamente dai giganti in maglia neroverde. Il ritorno della squadra nella massima divisione della pallaovale nostrana era stato uno spot assai efficace per la determinazione del popolo abruzzese di ricominciare.
Invece il sogno è durato meno di una stagione. L'Aquila Rugby ha fatto egregiamente la sua parte nel Top 10, ma dietro i successi c'era una società allo sbando, e una cassa che faceva acqua. Appena dopo il fischio finale dell'ultima partita, le difficoltà sono venute alla luce. I giocatori, che da mesi non ricevevano lo stipendio, hanno fatto le valigie: per primi gli stranieri, sempre veloci ad abbandonare le barche in pericolo; poi alcuni degli italiani; e un po' alla volta si è scoperto che l'Aquila Rugby aveva debiti dappertutto. Non solo con i giocatori, ma anche con i tecnici, i fornitori, persino con i proprietari degli appartamenti destinati agli atleti.
Il sito ufficiale della società tace. Ma è di dominio pubblico il fatto che, allo stato attuale, l'Aquila rischia di non essere in grado di partecipare al prossimo campionato. Il capitano Maurizio Zaffiri ha detto: "Noi giocatori ci aspettiamo dalla società chiarezza e senso di responsabilità. Molti di noi, pur di continuare a giocare per L'Aquila, hanno già rinunciato ad offerte importanti, accettato riduzioni di ingaggio, fatto enormi sacrifici. Vorrei ricordare che abbiamo disputato quasi tutto il girone di ritorno dello scorso campionato senza prendere lo stipendio. Come atleti e come uomini non abbiamo nulla da rimproverarci, abbiamo dato il massimo e penso che si sia visto da come abbiamo giocato ogni partita. Amiamo questa città e i colori neroverdi ma non siamo più disposti a tollerare che la società non mantenga le promesse e gli impegni presi".
Intanto, il presidente Giacomo Pasqua ha lanciato un ultimo grido di dolore: "Abbiamo bisogno di soldi, siamo sempre più soli, non abbiamo più impianti". E ha chiamato in causa il sisma: "Abbiamo contattato almeno sessanta giocatori che hanno risposto picche perché hanno paura di venire in una città terremotata".
In realtà, all'Aquila sono in molti a sostenere che il tracollo sia figlio di una politica velleitaria e dispendiosa: in un momento in cui in tutta Italia il rugby paga il peso della crisi economica, pensare che proprio la terremotata Aquila potesse spendere e spandere si è rivelato una illusione.

Adesso si tratta di ricominciare daccapo. Ma d'altronde chi ha detto che a tenere alta la bandiera di una città debbano essere per forza professionisti venuti da fuori, e non i dilettanti, i ragazzi di un vivaio che è stato per anni un fiore all'occhiello del rugby italiano?

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