«Sì a una modifica della Carta che dia più poteri al governo»

Fini: «Abbiamo una guida indiscussa, un popolo, un mare di consensi e valori condivisi. Dimostriamo di saper costruire l’Italia di domani»

Roma - Ha in mano i soliti fogliettini. E tra gli appunti alcuni capitoli in evidenza: partito aperto, leadership, riforme, laicità dello Stato, referendum, immigrazione, Italia del futuro, crisi economica, patto tra Nord e Sud. Ma Gianfranco Fini deve attendere un po' prima di prendere la parola: i delegati applaudono a lungo, sventolano per la prima volta i tricolori (a centro sala, una, e una sola, bandiera di Alleanza nazionale). Ma tant'è. L'oratore si schiarisce la voce, poco prima dell'una. E si rivolge subito al presidente del Consiglio, seduto sotto il palco, che sorride soddisfatto a braccia conserte. «Voglio ringraziare Silvio Berlusconi per la sua chiarezza, la sua generosità», attacca l'inquilino di Montecitorio, riferendosi al discorso pronunciato venerdì dal Cavaliere. «In un colpo solo - fa notare - ha spazzato via luoghi comuni, maliziose interpretazioni, legittime paure».
Il Pdl, infatti, «come ha rilevato Berlusconi, non è Forza Italia allargata, fusione a freddo o cartello elettorale, ma un grande soggetto politico di popolo, figlio del patrimonio di ogni forza che lo compone». Ma non solo. Il Popolo della libertà, scandisce, «nonostante le mille buone intenzioni o l'impegno, non sarebbe nato senza la lucida follia del premier, che ha oneri e onori». Detto questo, spiega Fini, avvicinandosi al cuore del suo ragionamento, «un grande partito democratico come il nostro non deve dividersi tra correnti». Sarebbe, in quel caso, una «caricatura della democrazia». E poi, il punto di riferimento è uno solo: «Il manifesto del Ppe».
Insomma, «abbiamo un leader, che non è in discussione», così come «un popolo, un mare di consensi, valori condivisi. Ora dobbiamo dimostrare di avere le idee giuste per costruire l'Italia di domani». Un obiettivo che si può raggiungere se «continuiamo a marciare insieme, con lealtà, anche nella diversità di opinioni». Già, ed è questo uno dei nodi principali messi sul piatto da Fini. Perché «il fatto che io sia super partes - afferma - non significa che debba rinunciare alle idee. Anzi, voglio offrire qualche suggestione».

E allora, se ci si deve interrogare sul futuro della nazione, bisogna anche «capire cosa fare sui referendum» elettorali. Quindi, «non bisogna derubricare l'appuntamento di giugno a un piccolo incidente di percorso». In ogni caso, Fini ribadisce che il Pdl «deve definire un progetto di media e lunga durata». E dimostrare che «quando si hanno idee e progetti, la democrazia dell'alternanza non coincide con una sola legislatura». La prima missione, di conseguenza, è «governare bene», avendo chiara una «strategia per l'Italia che verrà, costruendola giorno per giorno», per «dare un senso al nostro essere nazione».

Inevitabile, a questo punto, affrontare il tema delle riforme. «Bene fa il premier a chiedere maggiori poteri per l'esecutivo - spiega dal palco - perché occorre maggiore tempestività ed incisività», ma bisogna «porre in Parlamento la riforma dello Stato», attraverso una «stagione costituente». E allora sì, che si potrà, anzi, «si dovrà modificare la seconda parte» della Carta, «per far uscire la farfalla dalla crisalide». Un impulso che potrà servire pure come «cartina di tornasole» per capire le reali intenzioni del centrosinistra.

Si passa al capitolo crisi. E Fini chiama in causa la «struttura del capitalismo senza regole» che «ha messo le sue radici nella finanza». Ma non si può «ridurre tutto all'enunciazione che è colpa delle banche e della finanza». La risposta, invece, fa rima con «nuove regole e riferimento a un valore come il lavoro». Inoltre, sottolinea, «non temo il federalismo fiscale, che può liberare invece energie e mandare al macero il sistema clientelare». Ma servono anche altri input. Cioè, «patto tra generazioni», «riforma del welfare che garantisca stabilità», impegno per una «concordia sociale». E poi, un «patto tra Nord e Sud»: d'altronde, «quando lo Stato c'è, come avvenuto ad Acerra, il Meridione si libera dalla piaga dei rifiuti e si afferma come una presenza positiva».

A seguire, Fini rilancia la sua ricetta in materia d'immigrazione: «Non dobbiamo aver paura dello straniero, ma guidare il processo complesso» dell'integrazione. «Un ammalato, un bambino - insiste - sono prima di tutto persone umane e poi immigrati», altrimenti «c'è il rischio di alimentare la xenofobia, sempre dietro l'angolo».
Dulcis in fundo, il passaggio più delicato, e non solo perché prende in esame la questione etica. «La società che verrà comporta l'obbligo, per le istituzioni, di essere laiche», attacca Fini, cosciente che è «la questione che può aprire più discordia: mi è capitato già e mi capiterà, su quest'argomento, di essere in minoranza nel Pdl». Una presa d'atto che non coincide con il voler «negare il magistero morale della Chiesa, né è contraddittorio con la difesa delle radici cristiane come fondamento dell'Europa». La laicità, spiega, «è separazione tra le due sfere».

E così, prendendo spunto dal provvedimento sul testamento biologico, da poco approvato al Senato, s'interroga: «Siamo proprio sicuri che rispetti quel dovere di laicità? Quando si impongono per legge certe convinzioni, be’, sono convinzioni più vicine a uno Stato etico che a uno laico».

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