Politica

Il sabato che rilanciò l’alleanza

Un'istantanea della tribuna d'onore del congresso Udc, venerdì scorso, mentre Marco Follini parlava, era la nitida fotografia del centrodestra: Silvio Berlusconi scuro in viso, Marcello Pera preoccupato, Pier Ferdinando Casini teso e Gianfranco Fini distratto dai «lavori in corso» in An. La relazione del segretario centrista aveva infiammato i delegati, ma sulla Cdl le isobare disegnavano una vasta zona di bassa pressione.
Il sabato ha portato consiglio e l'intervento domenicale di Pier Ferdinando Casini ha tratteggiato una road map per la pace nella Casa delle libertà che, se non è una certezza, è pur sempre una speranza. Un sabato difficile, quello del presidente della Camera. Il segretario del suo partito, da un ventennio «l'amico Marco», aveva scavato una trincea tra l'Udc e il resto della maggioranza. Forza Italia e An avevano già messo i sacchi di sabbia, indossato gli elmetti e innestato la baionetta. Casini nel suo studio alla Camera ha una foto significativa di tutti i leader della Cdl che, insieme, disegnano scenari futuri. In quella cornice c'è un'immagine che è un flash back, ma anche il presente e, in maniera diversa, il futuro. Da una parte gli interessi dell'Udc e la tattica del suo segretario, dall'altra il rilancio del blocco dei moderati e la strategia di un leader chiamato Casini.
Sabato mattina, dopo una notte attraversata da mille dubbi, Casini comincia un suo privato giro di consultazioni. Non ha ancora deciso se intervenire al Congresso Udc. Si parla di un «saluto» ai delegati, nulla di più. Eppure sente che una scelta del genere è insufficiente, che anche il non detto stavolta diventa discorso e significato. Squilla il telefono di Palazzo Madama. Risponde Marcello Pera, chiama Pier Ferdinando Casini. L'intesa tra i due presidenti delle Camere è da tempo eccellente, uomini diversi per esperienza (l'uomo di partito e il professore) e formazione culturale (il laico e il cattolico) sono giunti a una analisi della società e della politica comune. La battaglia referendaria per l'astensione ha certificato l'asse tra Montecitorio e Palazzo Madama. La telefonata si trasforma in una lunga consultazione istituzionale. Casini esprime a Pera le sue convinzioni e le sue preoccupazioni dopo la relazione di Follini. Dell'analisi del suo segretario condivide molte cose, ma i destini del centrodestra a Casini stanno molto a cuore. Il presidente della Camera non vuole diventare il padre nobile del «partito degli isolati» e vuole poter giocare le sue carte per la futura leadership della casa comune dei moderati. Dilemmi amletici. Il presidente del Senato dopo la relazione di Follini teme un acuto finale della crisi, le sue parole sono chiare, decise, semplici: caro Pier Ferdinando, per il bene del centrodestra, fai un discorso alto, che ponga un orizzonte che vada oltre le cose dette da Follini e le polemiche che si sono aperte. Non chiudere sulla prospettiva del partito unico, ricorda l'importanza della battaglia referendaria e dei valori morali, indica una strada da condividere con gli alleati. Agli amici, Pera dirà che «davanti a tutto c'è il bene della coalizione, le varie energie che la compongono devono diventare una risorsa, tutto deve venir fuori in maniera positiva, altrimenti diventa solo un esercizio distruttivo». Clic. Casini chiude la telefonata con Pera, continua il suo giro di consultazioni, poi va a casa e comincia a lavorare a un discorso che tenga conto di Follini ma vada oltre Follini. Che tenga conto dell'ovazione tributata a Tabacci ma che superi Tabacci. Casini stacca tutti i telefoni e comincia a scrivere. Dal suo buen retiro di Palo Laziale, vien fuori un canovaccio di 15 fogli, puri appunti scritti a penna per un discorso a braccio che segna un punto importante nella recente storia politica italiana.
Ieri sera il tam tam del Palazzo lanciava il segnale atteso: «Domani alle 11 intervento corposo del Presidente. Stop». E in quella parola, corposo, c'era tutta l'attesa per un discorso da leader che vuol essere leader di qualcosa di più vasto dell'Udc. Se Follini è un abile e temibile tattico, Casini ieri ha dimostrato di essere lo stratega. Ha concesso al segretario tutta l'autonomia per la gestione del partito, ma quando è stato il momento di tracciare il solco per la «città futura» non ha esitato a spezzare con il suo aratro i troppo angusti confini folliniani. Il segretario chiude la porta al partito unitario? Casini la riapre: «Dobbiamo gettare il seme di un grande partito nazionale, radicato nel cuore della gente, che competa e vinca». Follini spinge forsennatamente per il proporzionale? Casini invita al sano realismo: «È un traguardo difficile da raggiungere, anche perché non conviene ai Ds». Follini dipinge il Cavaliere come l'artefice di tutte le sconfitte? Casini riporta il dibattito sulla terra: «Sappiamo che dal 1994, senza Berlusconi il centrodestra non sarebbe esistito, e sapevamo prima chi era Berlusconi». Tabacci fa il grillo parlante antiberlusconiano? Casini usa la frase a doppio taglio: «Noi non siamo destinati ad essere, caro Tabacci, grilli parlanti o testimoni solitari». Una cavalcata sulla prateria del centrodestra contrappuntata dai riferimenti ai valori morali, all'insegnamento di Giovanni Paolo II, all'Europa in crisi di identità prima che istituzionale.
Un discorso che, riaprendo la partita della casa comune del centrodestra, raccoglie e rilancia quanto detto ieri da Gianfranco Fini. Il leader di An, dopo aver abilmente cambiato registro e incassato la fiducia dei colonnelli, ha commentato: «Casini ha fatto un'affermazione importante quando ha detto che il progetto di partito unitario non va archiviato perché la direzione di marcia è quella. Lo condivido». Segno che la partita si è riaperta e che Silvio Berlusconi può riprendere a tessere il filo di una «ripartenza della politica» e lanciare la costituente del partito unitario. Ieri Marco Follini ha chiuso il congresso dicendo: «Non abbiamo già messo nel conto la sconfitta».

Forse non l'hanno prevista perché i sondaggi dicono che nei collegi incerti c'è ancora un reale margine di recupero. Non l'hanno prevista perché la politica è imprevedibile. E se c'è un Follini che fa saltare il tavolo verde, c'è un Casini che va a vedere e rilancia.

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