Salute

Nuove cure per i pazienti che soffrono di emofilia

Luisa RomagnoliL'emofilia, nota come male dei Re, per aver colpito nei secoli passati in modo drammatico diversi membri di alcune case regnanti europee, vive oggi un momento di grande fermento scientifico. A livello terapeutico sono in dirittura d'arrivo molecole innovative, in grado di diminuire la frequenza delle somministrazioni, per la prevenzione delle emorragie. Poi all'orizzonte si delinea il sogno della terapia genica, che punta a identificare una cura definitiva per questa condizione patologica rara ed ereditaria. In Italia riguarda circa 6mila persone, per le forme A e B. Se n'è parlato al nono congresso annuale dell'Associazione europea per l'emofilia (Eahad), tenutosi di recente a Malmö, in Svezia. Un'occasione che ha riunito oltre 2mila professionisti. Profilassi, è più che mai, la parola d'ordine. «In Italia abbiamo iniziato ad usarla negli anni '90». spiega Elena Santagostino, responsabile dell'unità operativa emofilia e trombosi, presso l'IRCCS Fondazione Cà Granda, ospedale maggiore policlinico di Milano. «Consiste in regolari infusioni del fattore della coagulazione mancante o carente nell'organismo (l'ottavo per la forma A) ed ha l'obiettivo di prevenire le emorragie. I bambini sono stati la prima fascia alla quale è stata rivolta la terapia, ma ora si va verso la diffusione della profilassi alle altre età, compresi gli adulti, proprio perché l'emofilico oggi ha una aspettativa di vita normale e quindi lo si vuole attivo nel corso di tutta la vita». L'avvento di farmaci ricombinanti, più sicuri rispetto alle terapie passate, ha portato ad una maggiore confidenza nel seguire questa procedura di trattamento. In merito, promette una nuova molecola, sviluppata da Bayer, di prossima registrazione europea. Si tratta di un fattore VIII ricombinante non modificato per il trattamento e la profilassi degli episodi di emorragia, in pazienti con emofilia A, di tutte le età.

«Il farmaco in studi clinici, si è rivelato avere caratteristiche posologiche interessanti», sottolinea Santagostino «In ampie fasce di pazienti, è stato possibile utilizzarlo due volte alla settimana invece che tre».

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