Salute

Per la sclerosi multipla terapia in gravidanza

Dati ventennali e uno studio multicentrico confermano: la cura non danneggia il feto

Agata Beltrami

Più di duemila donne malate di sclerosi multipla hanno potuto curarsi durante la gravidanza, non avere recrudescenza di malattia al termine della gestazione e diventare mamme di bimbi sani. Le donne facevano parte di uno studio multicentrico e i loro figli sono stati seguiti per più di due anni. I risultati di questa ricerca - oltre ai dati di farmacovigilanza raccolti in un ventennio nei centri di cura in Germania, Danimarca e Italia - hanno permesso a uno dei farmaci immunomodulanti, il Copaxone prodotto dalla Teva Pharmaceutical Industries, di non avere più la controindicazione in gravidanza.

«Tutti i farmaci per la sclerosi multipla, all'incirca una quindicina, sono preclusi alle gestanti, solo il Copaxone è diventato accessibile con autorizzazione della FDA spiega Francesco Patti, responsabile del Centro Sclerosi Multipla del Policlinico «G. Rodolico» del Policlinico Vittorio Emanuele di Catania Si tratta di una tappa fondamentale per vari aspetti. Il più importante è legato alla qualità della vita. Le donne sono più colpite dalla sclerosi multipla e la diagnosi avviene, in genere, in età fertile. Il fatto di poter tenere sotto controllo la malattia è fondamentale anche nella decisione di avere un figlio. La comunità scientifica ha poi valutato di assegnare il Copaxone come farmaco sostitutivo in gravidanza. Significa che le pazienti seguite con altri trattamenti (ogni caso e ogni stadiazione richiedono terapie mirate) possono beneficiare di questa molecola che non si è rivelata tossica durante il periodo di gestazione».

Prima di questa autorizzazione cosa accadeva?

«Si sospendevano le cure per tutti i nove mesi pur sapendo che nella maggior parte dei casi ci sarebbe stata una ripresa di malattia dopo il parto».

Si può convivere con la sclerosi multipla con una qualità della vita accettabile?

«Ogni caso è a sé. Vi sono forme già aggressive in partenza, altre meno e il decorso è sempre imprevedibile. Ci sono pazienti che accusano solo stanchezza e cali della vista, altri che si ritrovano in poco tempo sulla carrozzella. Possiamo dire che nel 50-60% dei casi si mantiene la qualità della vita. Per noi clinici avere a disposizione 15 farmaci significa personalizzare e bilanciare benefici e sicurezza».

Quali sono le cause della malattia?

«Non si conoscono con certezza. Non si è scoperto un gene responsabile. Si tratta di una malattia autoimmune, il sistema immunitario attacca componenti del sistema nervoso centrale. Si è visto che il fumo ne peggiora le condizioni e l'attività fisica, quando è possibile, ne rallenta il decorso. Vi sono benefici anche stimolando l'attività cognitiva del paziente. Quanto alla prevenzione è importante non abusare di antibiotici per non alterare il sistema immunitario e sicuramente astenersi dal fumo».

È vero che in Italia è stato autorizzato un farmaco ibrido al posto del Copaxone?

«Sì. L'ibrido non è un generico ma un farmaco diverso dall'originale. Alcune Regioni lo hanno adottato per contenere le spese. Accade solo in Italia fra i Paesi europei l'eventualità che un farmacista assegni l'ibrido al posto del Copaxone, ma mai a terapia già iniziata. Non ci sono studi su questa nuova molecola in gravidanza».

Quindi che studio è stato fatto?

«In Usa è stato condotto uno studio con Risonanza magnetica per verificare il numero di lesioni. Al termine dei nove mesi è emerso che non vi sono differenze tra Copaxone e ibrido. Quel che lascia perplessi è che in nove mesi non sia stato notato nessun effetto clinico, cioè il numero di ricadute.

È la prima volta che uno studio sul Copaxone non osservi un effetto clinico».

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