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Sarò bacchettone, ma è volgarità da caserma

E va bene, se nessuno se la sente più di passare per bacchettone, mi offro volontario

Sarò bacchettone,  ma è volgarità da caserma

E va bene, se nessuno se la sente più di passare per bacchettone, mi offro volontario. Qui tutti ormai si nascondono dietro il comodo conformismo della modernità e dell’apertura mentale, dei costumi evoluti e della nuova morale. Ma visto che da tre giorni il centro del dibattito nazionale è fermo a pochissimi millimetri, sulla sinistra, dal centro di Belén, trovo davvero allarmante che nessuno si senta in dovere di sollevare qualche sano giudizio di censura, di condanna e - diciamolo pure - di disgusto. Mi rendo conto che parlare di disgusto davanti alla farfalla di una bella figliola mi porterà dritto nel ghetto gay d’Italia. Ma non importa. Non sono bacchettone, non sono gay, eppure non ho nessuna difficoltà a definire quei momenti di televisione con l’unica definizione adeguata: in prima serata, sul canale più importante e più famigliare, siamo a pochi millimetri dalla pornografia.
Belén ovviamente non c’entra nulla. Lei usa le armi che vuole. E comunque non mi si venga a spiegare che la sua esibizione è eccitante, perché con l’antica tecnica vedo non vedo lascia immaginare le più allupanti segretezze. Purtroppo, di Belén non c’è più niente che non sia visto e stravisto: da mesi il suo simpatico fidanzato della prima ora ha mandato su Internet un filmato in cui la ragazza, non ancora diciottenne, dimostra sul campo di conoscere già a memoria tutto il kamasutra.
Il problema non è Belén. Il problema è questa nostra Rai che non ha più ritegno. Per raccattare clamore, il servizio pubblico non esita a sguazzare nel cafone, arrivando senza scrupoli a pochi millimetri dalle vergogne. Questi dirigenti, queste commissioni di vigilanza, questi arbitri pavidi e opportunisti non osano più vietare nulla a nessuno, magari in nome del buongusto e dell’estetica. Mandano il commissario politico Marano come badante di Celentano, ma nessuno che si prenda la briga di dire a Belén senti ragazza mia, questo genere di marketing personale va benissimo alla gara di lap-dance, ma qui a Sanremo non se ne parla proprio. Rimettiti le mutande e pedala.
La cosa più comica è che da mesi leggo sui giornali questi indignatissimi pistolotti sui nostri ragazzi, smidollati e farfalloni, che invece devono rimboccarsi le maniche e scommettere sul lavoro. Come no. Voglio proprio vedere adesso i genitori d’Italia che vanno dalle loro ragazze con discorsi del tipo impegnati, studia, pensa se un domani riesci a vincere un dottorato in biologia o in filologia romanza... Come minimo, quelle sono autorizzate a dare risposte del tipo papà, se mi dai molto meno mi faccio una farfalla dove so io, poi vedi il carrierone.
E comunque basta, per favore basta, diamo un taglio a questa idea che noi uomini italiani siamo sempre lì con la bava alla bocca e la lingua di fuori in attesa di un pube al vento, rubacchiato su Raiuno. La ganza che mostra la farfalla stava appesa tanti anni fa dentro gli armadietti delle caserme, sui muri dei gommisti, ai finestrini dei Tir. Ma da lì in poi c’è capitato di vedere anche altro. Le vestine che si aprono sulla farfalla sono ferme a quel livello, come se il tempo non fosse mai passato. Non è bellezza, è volgarità. Non è erotismo, è pecoreccio.
Eppure, a quanto pare, questo è il Paese. Il caso Belén non è scandaloso per quello che mostra, ma per quello che dimostra. Se un popolo si riduce a sbirciare dentro a uno spacco, interrogandosi da giorni per scoprire se una cortigiana porti le mutande, credo ci sia ancora molto lavoro da fare. M’era sembrato di capire che fossimo entrati in una stagione nuova e diversa, dove anche il gusto e l’estetica stessero cercando di ricalibrarsi su livelli diversi. Evidentemente ho capito male. Chiedo il permesso e scendo. Se devo stare tra i bacchettoni, me ne sto tra i bacchettoni.

Andate tranquilli per la vostra strada, lasciateci pure indietro.

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