Controstorie

Se Caracas sembra Piazza Tien An Men Il comunismo uccide

di Gian Micalessin

G uardate quella donna immobile davanti al blindato della polizia di Nicolas Maduro. Come il dimostrante sconosciuto di piazza Tien An Men non ha un nome. E neppure un volto. Al posto del suo viso c'è un fazzoletto bianco. Serve a non farsi riconoscere dalla polizia. Serve a fare da schermo alla coltre di lacrimogeni che annebbia la scena. Ma in quella nebbia sinistra, come nel deserto di una piazza Tien An Men dove il 5 giugno 1988 i carri armati spengono la protesta di un popolo e migliaia di vite, riconosciamo la medesima devastante piaga. La piaga di un'ideologia comunista sempre pronta, anche nella sua ottusa deriva «maduriana», a schiacciare libertà, sogni e benessere.

Ma quelle istantanee, lontane ventinove anni l'una dall'altra, immortalano altre due verità. La prima è la sostanziale irrecuperabilità del sistema comunista. La seconda è la pericolosa miopia di quanti nella sinistra italiana guardavano con fiducia al Venezuela di Hugo Chavez. Per comprendere la devastante irrecuperabilità del comunismo è sufficiente soffermarsi sul blindato bianco bloccato dalla donna senza nome di Caracas. È un Norinco Vn-4 uscito dalle stesse fabbriche cinesi che plasmavano l'acciaio dei T59 mandati a schiacciare i dimostranti di piazza Tien An Men. Quel Norinco Vn-4 non è lì per caso. È lì perché la Cina, trasformatasi dopo Tien An Men in colosso capital-comunista, è stata l'unica a finanziare le fallimentari politiche economiche di Hugo Chavez. Mentre il padre politico dell'attuale presidente Nicolas Maduro distruggeva l'industria petrolifera di Stato estromettendone manager e tecnici per fare posto ai propri fedelissimi, la Cina era l'unica a concedere crediti a Caracas. Dal 2007 a oggi, mentre la produzione di petrolio s'assottigliava a causa d'una gestione fallimentare e i prezzi del barile crollavano, Pechino elargiva al Venezuela crediti per oltre 60 miliardi di dollari. Quella carità pelosa ha trasformato la nazione con le più grandi riserve petrolifere mondiali in un ostaggio di Pechino.

In cambio di quei crediti inesigibili Caracas ha dovuto mettere a disposizione due terzi della propria produzione di greggio a prezzi inferiori a quelli già esigui imposti dal mercato. E mentre la recessione divorava il paese Chavez prima, Maduro poi, ripagavano la «generosità» dell'amico cinese impegnandosi ad acquistare armi, blindati e tecnologia militare per milioni di dollari. Quelle armi acquistate scialando la principale risorsa del paese vengono ora utilizzate per reprimere la rivolta d'una popolazione esasperata ed affamata.

In questo rovinoso mosaico post-comunista s'inserisce la tessera farsesca d'una sinistra «radical chic» italiana capace di decantare il sistema militar-comunista messo in piedi da Chavez e difeso con i blindati cinesi da Maduro. «Chavez resta l'artefice, il protagonista d'una sperimentazione concreta di lotta contro la povertà» spiegava nell'ottobre 2012 l'allora governatore di Puglia Nichi Vendola. Gennaro Migliore, attuale sottosegretario alla Giustizia, ex «enfant prodige» della sinistra transitato da Rifondazione comunista al Pd renziano, vedeva nel Venezuela di Chavez una «straordinaria rivoluzione non violenta, fatta di democrazia partecipativa e grandi passioni civili». Una rivoluzione che dopo avere affamato il proprio popolo lo annienta con le armi vendutegli da chi lo ha trascinato alla bancarotta.

Nell'indifferenza degli ex «enfant prodige» accecati dalla stessa defunta ideologia che sta mandando in rovina il Venezuela.

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