Cultura e Spettacoli

Se l'antirazzismo diventa pure terrore letterario

Se l'antirazzismo diventa pure terrore letterario

Siamo appena reduci dal pensiero standardizzato di quelli che pensano sempre bene. Sono gli organizzatori della manifestazione anti-razzista, pro-immigrazione, multiculturale e compagnia cantante di ieri a Milano. Una gemella di quella di Barcellona, si dice. Senonché in Spagna ai confini di Ceuta, gli immigrati vengono tenuti fuori con il filo spinato e il moschetto. E giù le parole d'ordine: niente più muri, ma molti più ponti. I mattoni? Sono sempre quelli dell'intolleranza. Le ong, si avvisano i navigatori milanesi, si stanno dando da fare. Ecco per celebrare questa orgia di pensiero comune e unico, basterebbe Moliere: «L'ipocrisia è un vizio alla moda, e tutti i vizi alla moda sono considerati virtù. Il personaggio del benpensante è la parte più bella che si possa recitare al giorno d'oggi». Quanti benpensanti in giro, che frequentano le stazioni delle grandi città, con la scorta dei propri autisti e in orari accettabili. Viene la voglia di rispolverare Richard Millet, Liberilibri, l'Antirazzismo come terrore letterario, con l'ottima e coraggiosa prefazione di Renato Cristin. Mettiamo subito le cose in chiaro: il testo, breve, è scritto da letterato. Non esattamente il nostro stile. E su e giù per le righe si legge una certa insofferenza per lo stile capitalistico, anglosassone, globalizzato, che non ha proprio l'intensità di un messaggio completamente liberale. Ma la storia e la tesi di Millet, sono da urlo. Uomo dell'establishment che conta di Parigi, curatore di Gallimard (mica Topolino), viene di fatto ostracizzato dalla Francia che conta. Millet scrive a proposito di stazioni: «Così constatando che sono l'unico uomo bianco nella stazione della R.E.R Chatelet-Les Halles, alle sei di sera, o dichiarando che non sopporto di vedere elevarsi moschee in terra cristiana, o ancora ritenendo che dare ai propri figli, alla terza generazione, il nome di Mohammed o Rachida riveli un rifiuto di assimilarsi, cioè di partecipare all'essenza francese, tutto ciò farebbe di me un razzista». Ce lo vede accanto a Majorino, o Grasso, o Sala, in piazza a Milano? Anche in Francia, continua Millet «l'ideologia antirazzista ha bisogno di inventarlo, il razzismo, per giustificare il terrore permanente che essa esercita su tutti, a partire dagli scrittori, ai quali rimane solo la scelta tra la collaborazione (a cui acconsente la maggioranza, soprattutto di indignati) e il rifiuto di questo terrore». L'autore coglie un altro aspetto, in questo decisamente più francese: «Si procede all'intimidazione maggiore, consistente nel pretendere che notare di essere il solo Bianco in una stazione della R.E.R implica, che, in altri tempi, si è inviato ebrei ad Auschwitz». Come nota, al contrario, nella sua introduzione Cristin:«L'esperienza di guerra libanese, ha rafforzato in Millet, la convinzione che la cultura ebraica è parte non solo integrante ma anche costitutiva dell'identità europea».

Insomma l'Antirazzismo come terrore letterario è un buon antidoto al diabete dei resoconti sulle manifestazioni antirazziste di Milano e Barcellona.

Commenti