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Se ne va la signora degli Agnelli

Sorella di Gianni ed ex ministro. Potente e dolce al tempo stesso, simile anche nella postura al fratello Gianni, cruda anche nei silenzi, Suni non portava mai con sé denari. I politici usarano il suo nome come passaporto, lei solo per fare del bene. Il video - le foto

Se ne va la signora degli Agnelli

L’ultimo mito agnelliano. Diceva di lei un’amica, quasi sottovoce: «Irradia potere e sicurezza, è fisica, tosta, stabile». In silenzio, Suni ha lasciato Susanna, dopo ottantasette anni vissuti come voleva e come doveva, ottenendo tutto, o quasi, non so se tutto significhi molto, lo mormorava ogni tanto lei stessa, arrotando la erre, chinando, di lato appena, il capo di capelli argentati, simile in tutto, nello spirito e nella postura al fratello Gianni. Una vita vestendo alla marinara e amando, una esistenza all'ombra ma non semplicemente solitaria, donna pubblica e femmina privata, sindaco e onorevole, amante e amica, moglie e madre.

Aveva quattordici anni soltanto quando sua nonna, la Princess Jane, le comunicò, così come se si trattasse di dire che il sole era caldo e il mare schiumoso, la notizia più tremenda per quel tempo: «Tuo padre è morto». Princess Jane aveva appena posato la cornetta del telefono nella dimora al Forte dei Marmi. L’avevano informata che Edoardo Agnelli si era accasciato, come corpo morto cade, sull’idrovolante S80 guidato da Arturo Ferrarin, asso della prima guerra mondiale. Dopo l’ammaraggio nelle acque del Forte, Edoardo Agnelli si era levato dal sedile, forse per un saluto, forse per una foto, l’aereo, per le onde, ebbe un sobbalzo e Edoardo andò a sbattere con il capo contro l’elica. La voce della nonna le rimase nelle orecchie e nel cuore per il resto della vita.

Lei, la piccola Suni si fece subito Susanna, trovando la ferocia giusta, il carattere potente, dolce e al tempo stesso duro, per sostenere le sofferenze altrui senza perdere mai di vista il proprio timbro, una specie di denominazione di origine controllata che le sarebbe servita comunque, dovunque. Per questo, in tempo della Seconda Guerra, andò ad aiutare le infermiere della Croce Rossa, lei stessa con siringhe e anestetici, tentando di fare dimenticare le ferite e il dolore ai soldati, reduci. Erano, appunto, gli anni in cui gli Agnelli vestivano alla marinara, corso Matteotti a Torino, fino a qualche tempo fa, ne conservava il profumo, la memoria nel palazzo di famiglia poi destinato agli affari, come sede dell’Ifi, a capo della quale, stava comunque Umberto, il fratello minore, quasi a mantenere il vincolo con il diario di infanzia.

Finita la guerra, finite le vaccinazioni, finirono gli amori adolescenziali, la relazione, o amicizia, con Galeazzo Ciano, altri coriandoli di chi viveva bene la vita, tra principi, nobili, senza abbandonare mai la borghesia che infastidiva alcuni elementi della cosiddetta alta società. Susanna, dunque, visse in America, scoprì l'Argentina, andò sposa a Urbano Rattazzi, voleva una famiglia, e fu numerosa, voleva essere madre, così, generosa, ebbe Ilaria, Samaritana, Cristiano, Delfino, Lupo, Priscilla quasi una vendetta affettiva nei confronti della propria madre, Virginia, un rapporto difficile, tosto, per usare l’aggettivo che ha fatto parte del carattere di Susanna Agnelli. La sua crudezza si rivelava anche nei silenzi, quasi un’assenza esteriore del dolore, così non fu vista piangere quando morì suo fratello Giorgio, così accadde con Gianni e con Umberto, non furono lacrime ma quell’espressione grigia, malinconica, di compassione nei confronti dell’affetto che veniva a mancare e che, così dicevano le amiche, forse non fu mai tale, complice piuttosto che sorella, solidale piuttosto che tenacemente coinvolta nella famiglia, figli e parenti, tenuti nel rispetto ma considerati lontani da un modo di essere e di pensare che lei riteneva esclusivo, al massimo condiviso dal fratello maggiore, Gianni appunto.

La donna tosta e cruda, non portava mai con sé la borsetta e il denaro, al massimo un fazzoletto nel polsino della giacca del tailleur, perché i soldi non dovevano essere il principio e nemmeno il fine, così che in casa, esisteva uno scrigno comune cui attingere e al resto badavano i domestici. La donna tosta ha avuto una carriera politica importante, impegnata anche se non illustre come il casato imponeva. L’amicizia famigliare con Ugo La Malfa la convinse alla candidatura per il partito repubblicano, nel 1976 fu eletta alla Camera, sette anni dopo, al Senato, nelle stesse liste del partito dell’edera. Non le mancarono gli incarichi internazionali, il suo cognome era il passaporto ideale per il nostro governo, fu sottosegretaria agli esteri e poi ministro e, al tempo, per una storia di jeep ordinate dal governo d’Israele, qualche cialtrone tirò fuori la storia da repertorio sul conflitto di interessi.

La voglia di mettere per iscritto memorie, sensazioni e sentimenti non la distrasse dall’impegno sociale, più forte, più profondo di quello per la politica. I suoi libri, da Vestivamo alla marinara (il merito, la mano furono di Cesare Garboli) a Gente alla deriva, da Ricordati Gualeguaychu a Addio, addio mio ultimo amore, vennero accolti con la supponenza ignorante di chi non riteneva un’Agnelli, o un Agnelli, capace di scrivere, di raccontare, di illustrare.

Dove Susanna Agnelli esercitava con perfidia il proprio spirito cinico era in una rubrica tenuta sul settimanale Oggi. E non si può non riportare una risposta, del tutto agnelliana, a una lettrice che domandava, furbescamente, come comportarsi con il proprio marito, tradendolo, platonicamente, soltanto baci, con un altro uomo o, ogni tanto, liberandosi con qualche altro per una questione di feeling. «Non riesco a immaginare cosa intenda esattamente per lasciarsi andare con altre persone, comunque mi sembra che suo marito sia un gran cornuto». Amava la casa, amava risistemarle, almeno cento le rimise a posto, come immaginava e voleva, quella dell’Argentario, di Bosco Parrasio, così buia, imponente e trasformata, piena di voci straniere, tate, cameriere, anche pazzoidi, una sorta di alveare che non aveva nulla a che fare con la titolare della dimora.

Gli anni che ci appartengono più da vicino l’hanno vista presiedere Telethon, l’iniziativa di foundrising, di beneficenza, la raccolta popolare di soldi per la cura della distrofia muscolare e di altre malattie genetiche rare. Oltre cinquecento milioni di euro, raccolti dal Novanta a oggi, sempre con il suo profilo, distante, nello sfondo di immagini televisive affollate di personaggi e interpreti vari. Susanna Agnelli ha chiuso in silenzio, come ha sempre voluto, come un’ultima memoria di una dinastia che facciamo fatica a ritrovare.

E che forse non esiste più.

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