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Se il "Papa" Mancuso mantiene la ragione e butta via la fede

Il teologo privilegia il pensiero rispetto alla religione e l’impegno rispetto al dogma. In pratica, un mini-scisma protestante...

Se il "Papa" Mancuso 
mantiene la ragione  
e butta via la fede

Dove porta il libro di Vito Mancuso, Io e Dio. Una guida dei perplessi (Garzanti)? Non so se avvicina a Dio, ma certamente allontana dalla Chiesa, dalla religione e dalla tradizione. La chiave del testo, in cima alle classifiche librarie, è nella ricerca di Dio attraverso un percorso individuale, come suggerisce già il titolo. Una ricerca appassionata dell’intelligenza al servizio della fede che si conclude in un passaggio di testimone dalla Chiesa alla Coscienza e dalla religione all’etica.
L’antagonista di Mancuso non è il nichilismo dominante ma è la Chiesa, la sua autorità, la sua storia e la sua mediazione.

Quando Mancuso cita il cardinal Martini e Norberto Bobbio e dice: la vera differenza non è tra chi crede e chi no, ma tra chi pensa e chi no, è già fuori dalla religione, seppure in così autorevole compagnia, ed è dentro l’illuminismo. La Chiesa non è una società di pensiero. E la religione cristiana non è stata salvata nella modernità da pur grandi intellettuali (Pascal, Kierkegaard e Dostoevskij), come sostiene Mancuso citando Sergio Quinzio; semmai dai santi e dal popolo dei suoi devoti autentici.

Quando Mancuso sostiene, in polemica col cardinal Ruini e con l’autorità della Chiesa, che il senso della fede dev’essere stabilito solo dalla ragione, ha davanti a sé due esiti: o s’inchina all’astratta dea Ragione di derivazione illuministica, o parla nel nome incerto della propria ragione soggettiva. Se l’autorità della tradizione non riesce a garantire la verità, ancor meno può farlo la ragione soggettiva. E se nella ricerca della verità non serve la tradizione, cioè l’esperienza di vita, santità e dottrina sedimentate nei secoli ma basta l’io, si vanifica il ruolo pastorale della Chiesa, il suo magistero, ma anche la fede e il senso del mistero. Se si arriva a sostenere, come fa Mancuso, che non è la religione a fondare l’etica ma è l’etica a fondare la religione, e che si deve amare la Legge più di Dio, come dicono i rabbini a proposito della Torah, si riduce Dio a una norma etica-legalitaria.

Ma Dio non è un codice penale. E ancora, se il sovrannaturale non evoca a Mancuso la metafisica, che per lui è un «inesistente scenario», ma la relazione, l’essere insieme - echeggiando la trascendenza orizzontale di Karl Jaspers - allora non è apertura all’essere, al mistero e alla vita eterna ma solo orizzonte umano, sociale e temporale. Più coerente fu il percorso di Gabriel Marcel che partì dall’Io ma incontrò il Mistero dell’Essere e non separò esistenza e metafisica.

L’esito finale di Mancuso è un mini-scisma protestante che esautora la Chiesa e affida alla coscienza individuale e all’impegno etico e umanitario il senso della fede. Religione è, sì, legame e relazione, ma in vista di un orizzonte ultraterreno e sovratemporale. Comunità e comunione. Altrimenti la religione si riduce a un’assemblea condominiale e la fede resta solo ricerca intellettuale dei singoli. Se poi la religione deriva dall’etica, Dio è superfluo; al più è un testimonial.

Capisco il dissenso di Mancuso dalla Chiesa e ancor più capisco e rispetto il suo tentativo di rianimare il rapporto con Dio che appare come spento nella Chiesa e nella routine dei devoti. Ma la consapevolezza tragica e reale della crisi radicale in cui versa la Chiesa non può farci dimenticare la causa principale della perdita di Dio e del sacro: è il propagarsi del nichilismo, la perdita di senso e valore nella vita, il diffuso inaridirsi della vita spirituale. La Chiesa oggi non è un argine per fronteggiare il nichilismo, la cristianità non è in grado di rispondere al deserto che avanza, ne è come sovrastata e soccombente; ma non è la causa del nichilismo, semmai è un fragile rimedio, una risposta inadeguata. Attribuire invece la perdita di Dio alla sclerosi della Chiesa significa attribuire alla debolezza di una risposta la causa di un processo pervasivo e virulento di cui la Chiesa è vittima e non artefice.

Senza il barlume di un’istituzione religiosa la notte del nichilismo è ancora più buia. Se non basta la Chiesa ad affrontare il nichilismo, ancor meno può bastare la fragile solitudine dell’io e della sua ragione, il richiamo all’etica o al dialogo.

La lettura di Mancuso resta subordinata alla critica laicista alla Chiesa che denuncia il potere clericale e le sue ingerenze, ma non vede la drammatica impotenza della Chiesa a fronteggiare il nichilismo, il primato della tecnica e dell’economia. Non a caso Mancuso più che ai Padri della Chiesa si richiama ai padrini della laicità, ai Bobbio, ai Zagrebelsky e agli Scalfari; critica i Papi ma elogia i papi laici e cita più la Repubblica che la Summa teologica (Il Dio di Mancuso legge solo la Repubblica, è monoteista nella lettura del quotidiano).

E non cita Bobbio nell’unico punto in cui Bobbio rese ragione alla fede quando sostenne che la morale fondata sulla fede in Dio è più salda e più motivata di quella atea. Mancuso discorda.
Così la presenza del Male nel mondo non è «un problema irrisolto della dottrina cattolica», come ritiene Mancuso, ma investe la Bibbia e i Vangeli. Se Dio è giusto e misericordioso perché il Male? Questa è la domanda autentica da porsi. Ma è una domanda che investe l’essenza della fede, il Vecchio e il Nuovo Testamento, e solo di riflesso il ruolo e la dottrina della Chiesa.

È facile esercizio poi criticare gli errori e gli orrori passati della Chiesa, come fa in molte pagine Mancuso; ma la Chiesa non è un’istituzione fuori dal mondo, è fatta di uomini e rispecchia le contraddizioni e le miserie della condizione umana e della storia: la grandezza della causa è pur sempre affidata alla pochezza degli uomini. Le pagine infami nella storia della Chiesa riflettono le epoche. E sarebbe giusto ricordare accanto alle sue pagine buie e infami, anche le sue pagine luminose, i martiri e i santi, la dedizione e la beneficenza, l’assistenza ai poveri, ai deboli e ai malati, il magistero educativo, il ruolo di guida, soccorso e agenzia morale e spirituale che ha svolto nei secoli.

Insomma, se la fede muore non basta intentare un processo alla Chiesa e la salvezza non è rifugiarsi nell’Io. Anzi, alla fine sorge un dubbio radicale: e se il punto debole e la ragione del nichilismo fosse proprio lì, nel partire dall’Io? E se dovessimo liberarci dall’Io per attingere alla verità e avvicinarsi alla vita autentica?

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