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Secondo un’indagine condotta dall’università di Milano, i pediatri che dovrebbero informare sui rischi del tumore sono «assolutamente disinformati» La vaccinazione fantasma del ministro Turco La responsabile della Sanità ha varato una campagna contr

Secondo un’indagine condotta dall’università di Milano, i pediatri che dovrebbero informare sui rischi del tumore sono «assolutamente disinformati» La vaccinazione fantasma del ministro Turco La responsabile della Sanità ha varato una campagna contr

da Milano

Il ministro della Salute, Livia Turco, lancia la campagna di vaccinazione delle ragazzine di dodici anni contro il papilloma virus, responsabile del tumore al collo dell’utero, e i pediatri non ne sanno nulla. Proprio loro, nelle cui competenze rientrano tutte le vaccinazioni che oggigiorno vengono fatte ai bambini fin dai primi mesi di vita, che dovrebbero seguire i ragazzi fino ai quattordici anni di età e quindi occuparsi anche del benessere e delle problematiche ginecologiche delle adolescenti. Ma quasi il 50 per cento degli specialisti non ha la più pallida idea di cosa sia il virus Hpv o papilloma virus, il 90 per cento non è al corrente che raggiunge la massima diffusione proprio nella pubertà e appena il 16 per cento sa che esiste un vaccino, l’unico efficace contro un tipo di neoplasia, che protegge le fanciulle dalla possibilità di essere aggredite dal tumore.
Sono cifre che lasciano di stucco quelle emerse da un’indagine condotta in Italia su un campione rappresentativo di pediatri, coordinata da Susanna Esposito dell’istituto di Pediatria dell’università di Milano e che verrà presentata a maggio ai congressi delle Società europea e italiana di infettivologia pediatrica.
Il 70-80 per cento delle donne nel corso della vita può contrarre il virus: solo in Italia colpisce 4mila soggetti, uccidendone quasi la metà. La trasmissione avviene prevalentemente per via sessuale, anche attraverso «rapporti non completi», precisa Esposito. Da qui la raccomandazione della vaccinazione per le ragazzine di 12 anni, come ha stabilito il ministero della Sanità, con una prima iniezione e due richiami entro sei mesi. Si tratta di una popolazione già sviluppata, perché in base ai dati scientifici più aggiornati l’età del menarca è stata fortemente abbassata e oggi si stima intorno ai dieci anni, e che non dovrebbe aver ancora avuto rapporti. Secondo valutazioni ufficiali, infatti, l’età media del primo incontro con l’altro sesso è intorno ai 16 anni, mentre da una recente ricerca di Eurispes è emerso che l’8% delle adolescenti tra gli 11 e 13 anni ha ammesso di aver già vissuto la prima volta. Tant’è che il ministero della Salute ha deciso di dare avvio al piano di vaccinazione contro il papilloma virus proprio con le dodicenni, in tutto 280mila, perché «frequentando ancora la scuola dell’obbligo, cioè la seconda media – spiega la specialista dell’università di Milano - sono più facilmente raggiungibili e possono poi essere seguite nel tempo» e ha messo sul tappeto 75 milioni di euro all’anno. Chi ha superato l’età e non ha più di 26 anni dovrà pagarlo, tre dosi da 188 euro ciascuna. Per tutte le altre donne l’unica arma di difesa è la prevenzione sia con il Pap test, sia con l’Hpv test.
I pediatri, i primi a dover diffondere una cultura di prevenzione, a incoraggiare i genitori verso una scelta sicura (il vaccino è risultato efficace nella totalità dei casi), ne sanno poco o nulla e fanno pure fatica a parlarne. L’indagine condotta dall’università di Milano, su 311 pediatri italiani su un totale di 12mila, campione ritenuto significativo «perché ha fornito risposte tutte sulla stessa linea, cioè quasi sempre le stesse, ha evidenziato una carenza informativa enorme – sottolinea Esposito – e, di pari passo, un grande interesse nel voler approfondire l’argomento». In particolare, il 45 per cento degli interpellati non sa cosa sia il virus Hpv, il 70 per cento non sa rispondere se sia un Dna virus oppure un Rna virus e il 50 per cento non ha idea di quali siano i tipi di Hpv virus (ce ne sono più di un centinaio) associati al tumore dell’utero.

Ma c’è di più: la maggior parte degli specialisti non parla delle problematiche sessuali con genitori e figlie, è convinto che sia prematuro, tanto è vero che solo il 9 per cento è al corrente che l’infezione può raggiungere la massima diffusione proprio nell’adolescenza.

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