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Sei in carcere? Tranquillo, l'Inps ti dà il sussidio

L’Inps eroga senza controllare la posizione penale. Ed è così che molte persone in cella si ritrovano con l’assegno pieno Migliaia invece si aggiudicano il bonus ridotto. Il trucco? Basta fare il giardiniere in carcere per 78 giorni l’anno

Sei in carcere? Tranquillo, l'Inps ti dà il sussidio

MilanoL’indennità di disoccupazione dietro le sbarre. I soldi dell’Inps per chi incrocia le braccia dietro le sbarre. Può sembrare un paradosso, uno dei tanti del nostro Paese, ma è la realtà. Lo Stato invia decine di assegni a molti detenuti sparsi nei penitenziari italiani. L’Inps non fa distinzioni: è sufficiente che il carcerato abbia lavorato almeno 57 settimane nei due anni precedenti e poi sia stato licenziato ma sia iscritto alle liste di collocamento. In quel caso il bonus scatta. Comunque. L’Inps non guarda il curriculum criminale, se il candidato sia in custodia cautelare o definitiva, italiano, straniero o clandestino, se abbia avuto un’occupazione in precedenza, quando era libero, o durante la prigionia, e nemmeno se il detenuto abbia lavorato all’interno della struttura o all’esterno. L’Inps paga e paga tutti. Poco, ma a pioggia.
Di più, in qualche carcere le occupazioni tradizionali dai nomi ancora ottocenteschi - spesino, scrivano, scopino o mof, acronimo per manutenzione ordinaria fabbricato - sono per forza di cose provvisorie e a rotazione. Ma proprio questa circostanza, proprio il continuo turn over, permette a centinaia di persone di raggiungere annualmente la fatidica soglia dei 78 giorni di lavoro e di ottenere così l’anno dopo la cosiddetta indennità di disoccupazione con requisiti ridotti. In pratica un minibonus che in molte realtà è a portata di mano per centinaia di detenuti. Insomma, con un pizzico di buona volontà, di solidarietà e di coordinamento, l’indennità, sia pure formato mignon, non si nega a nessuno. O quasi. Basta sincronizzare i turni sul calendario e il risultato arriva.
I numeri esatti, va da sé, non li conosce nessuno. L’Inps e il Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, non hanno mai incrociato i loro archivi. I dati sono per forza di cose parziali e ballerini. Ci sono realtà all’avanguardia in cui i meccanismi della burocrazia sono ben conosciuti, altre in cui i misteri e la generosità della previdenza sono ignoti. Trarre conclusioni generali è impresa temeraria, ma qualcosa si può dire.
La realtà forse più avanzata, su questo versante, è quella di Sollicciano, il grande carcere di Firenze. Poco meno di mille detenuti, centottanta domande appena firmate per ottenere l’indennità con requisiti ridotti. Più del quindici per cento della popolazione carceraria. «Ho compilato io le schede - spiega Giuseppe Caputo - volontario dell’associazione L’altro diritto e documentatissimo ricercatore di sociologia del diritto - l’indennità del primo tipo, almeno qui a Sollicciano, è quasi una chimera irraggiungibile; i 78 giorni lavorati negli ultimi dodici mesi, senza nemmeno il bisogno di essere iscritti al collocamento, invece sì». E come si fa se si è ristretti in una cella?
Il «trucco» è appunto quello delle occupazioni interne al carcere: «Circa trecento persone ogni anno - spiega Caputo - si dividono i lavori tradizionali: spesini, scrivani, giardinieri, scopini. Solo a Sollicciano lavorano, naturalmente a rotazione, fra i 60 e gli 80 detenuti». Così il «premio» di disoccupazione può essere conquistato abbastanza facilmente: basta raggiungere quota settantotto. «Attenzione - riprende Caputo - parliamo di somme modeste, modestissime. L’indennità può oscillare fra un minimo di 150-200 euro e un massimo di 600-700 euro, a seconda dei periodi impegnati, ma la cifra è annuale, non mensile, viene versata in un’unica soluzione, di solito in estate, e serve generalmente per alleviare la povertà dilagante anche dietro le sbarre». Dunque, alcune centinaia di euro che si sommano allo stipendio, in verità ridotto all’osso - pari ai due terzi del minimo contrattuale di quella categoria parametrato sulla busta paga del 1994 - e ai costi per lo Stato della detenzione: quelli sì elevati, perché un carcerato costa alla collettività grosso modo 90-100mila euro l’anno.
E i paradossi non finiscono qui. A Sollicciano l’indennità classica, quella ordinaria, è stata conquistata da un transessuale nel momento in cui ha lasciato il carcere. Un po’ spesino, un po’ scrivano, un po’ altro ancora, Tamara - questo il suo nome - ha messo in fila 57 settimane nell’arco di due anni, ed è uscito sventolando l’assegno mensile dell’Inps.
Fuori da Sollicciano la percentuale dei detenuti sovvenzionati dall’Inps cala: «Nel resto della Toscana - conclude Caputo - credo che usufruisca dell’indennità il 5-10 per cento della popolazione carceraria. Non di più». Proporzioni che probabilmente si ripetono nel resto d’Italia. Disegnando così il profilo, davvero surreale, di una figura nuova nel pur frastagliato panorama previdenziale italiano: il detenuto disoccupato.

Un centauro dei nostri tempi e della nostra legislazione.

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