Sessantotto e «autunno caldo»: dai sogni ai picchetti in fabbrica

di Negli anni Sessanta, all'immobilità del governo si aggiunsero gli scandali provocati dalla corruzione di una classe politica da troppo tempo al potere. Gli italiani ormai sapevano che le riforme di cui il centrosinistra si era riempito la bocca non sarebbero arrivate, e intanto il miracolo economico si stava spegnendo senza nuove prospettive.
La riforma della scuola aveva portato all'istruzione di massa ma aveva abbandonato un'enorme quantità di studenti a programmi, strutture e docenti che non potevano e soprattutto non volevano prendere atto del cambiamento. Nel quinquennio 1962-1967 gli studenti universitari raddoppiarono superando il mezzo milione: un'università pensata per poco più di 125mila non poteva reggere all'impatto. I docenti trasformarono il momento dell'esame da meccanismo di valutazione in strumento per risolvere il sovraffollamento, rendendo gli esami insuperabili specialmente per i più poveri, gli studenti-operai. Per la prima volta nella storia italiana, l'università si trasformava da luogo di formazione della classe dirigente a luogo di critica del sistema e dei partiti, sia quelli che l'avevano prodotto sia quelli che non erano stati in grado di trovare un'alternativa.
Va da sé che il Sessantotto italiano nacque al seguito del movimento che investì l'Occidente per la rivolta della prima generazione nata dopo la guerra mondiale per un mondo costruito sul modello americano, irraggiungibile e comunque non da tutti ritenuto il migliore possibile. Così il Sessantotto prese un orientamento politico di sinistra, dato che si opponeva alle democrazie occidentali. In Italia alcuni disordini erano avvenuti qua e là nell'anno accademico 1966-67, e nel febbraio del 1968 il movimento raggiunse l'apice all'università di Roma, con la «battaglia di Valle Giulia», un vero e proprio scontro urbano in cui rimasero feriti decine di studenti e poliziotti. Ma fu la «liberazione sessuale» il mezzo per eccellenza, e particolarmente gioioso, con cui i giovani criticavano passato e sistema. Intanto ci si rese conto che, per smantellare il sistema, occorreva coinvolgere gli operai, a partire da quelli che non si riconoscevano nelle organizzazioni sindacali. Gli studenti, che spesso non erano più tali ma ormai professionisti della politica, cominciarono a «picchettare le fabbriche» e a porre le basi di un nuovo partito che superasse a sinistra il Pci e portasse la società italiana alla rivoluzione. Nacquero così gruppi e gruppuscoli di varia utopia e violenza, come Avanguardia operaia, Potere operaio, Servire il popolo, Lotta continua. I sindacati persero la rappresentanza esclusiva dei diritti dei lavoratori, ma i gruppi di studenti o ex studenti, ormai definiti extraparlamentari, avevano dimenticato che gli operai cui si rivolgevano non volevano rovesciare il sistema ma modificarlo per ottenere condizioni di vita migliori. Il basilare errore di valutazione compiuto dal movimento sarebbe stato ripetuto negli anni Settanta, ben più drammaticamente, dalle Brigate rosse e dagli altri gruppi clandestini che tentarono di abbattere lo Stato con la lotta armata.
Nell'autunno del 1969, che fu poi definito «l'autunno caldo», i sindacati ufficiali ottennero, per il nuovo contratto dei metalmeccanici, aumenti di stipendio generalizzati, il diritto di assemblea nelle ore lavorative, permessi speciali per i lavoratori che studiavano. Questi risultati rinforzarono i sindacati e segnarono l'inizio del declino degli autonomi. Fu la più importante, se non la più felice, di una serie di iniziative che i governi di centrosinistra succedutisi dal 1968 al 1972 - Leone, Rumor, Colombo, Andreotti - riuscirono a varare con il solo scopo di tamponare l'emergenza sociale. Il 12 dicembre 1969 era iniziata, però, con la bomba in piazza Fontana a Milano, la cosiddetta «strategia della tensione».
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